Perché la nuova Guerra fredda tra Usa e Cina passa dalle Terre rare

Poche ore dopo essere stato l’architetto di uno degli accordi di pace più attesi degli ultimi anni, quello tra Israele e Hamas, il presidente americano Donald Trump si è trovato coinvolto su un altro fronte, meno cruento ma non meno pericoloso: quello con la Cina. Nelle ultime ore, infatti, la disputa commerciale che da quasi dieci anni vede contrapporsi i due Paesi è entrata in una nuova fase. Una fase che potrebbe riguardare non più le sole schermaglie di dazi incrociati, ma addirittura l’ipotetico blocco dei commerci in alcuni settori strategici, in particolare quello delle Terre rare. Le Terre rare, infatti, giocano un ruolo molto delicato in questa partita: sono elementi fondamentali per la produzione di dispositivi tecnologici e militari. E benché non siano rare, lo sembrano, perché per quanto diffuse sono molto difficili da trovare e estrarre. Per anni l’umanità le ha quasi del tutto ignorate, ma di recente hanno assunto un ruolo chiave. La Cina a sua volta ha un ruolo chiave nella loro lavorazione e distribuzione, perché è il Paese il cui terreno ne contiene di più e che ha sviluppato le maggiori tecnologie per la loro lavorazione. Così, anche i giacimenti che non si trovano fisicamente in Cina hanno bisogno delle tecnologie cinesi, in una situazione che, di fatto, rende Pechino arbitro del settore. Un settore da cui, come dicevamo, dipende gran parte della produzione bellica e tecnologica di questi anni. Per questo, la decisione cinese dello scorso giovedì di sottoporre la vendita di Terre rare a una speciale licenza governativa ha gettato i mercati nel panico e Donald Trump su tutte le furie. Il presidente USA ha deciso di dare tempo fino al prossimo 1 novembre a Pechino per ritrattare, in caso contrario imporrà dazi del 100% a qualunque merce cinese, aggiungendo l’ipotesi, non meglio specificata di “altre serie contromisure”. Un quadro complesso, fatto di reciproche minacce e interdipendenze, poco compatibili con qualunque tentativo di ritorsione commerciale o di restrizioni di forniture. E nel quale non è escluso possano essere gli USA ad avere la peggio e fare il primo passo. Intervistata da BBC, l’analista di difesa Gracelin Baskaran, direttrice del programma per la sicurezza dei minerali critici presso il Center for Strategic and International Studies con sede a Washington, ha ipotizzato che "Gli Stati Uniti dovranno negoziare perché abbiamo opzioni limitate e, in un'epoca di crescente tensione geopolitica e potenziale conflitto, dobbiamo costruire la nostra base di difesa industriale”. Una base di difesa industriale, per costruire la quale, almeno per ora, gli USA hanno più bisogno della Cina di quanto la Cina ne abbia degli USA. Che a Trump piaccia o no. Al di là dell’ira di Trump, però, non è chiaro quanto questa contromossa sarà efficace. Gli USA hanno bisogno delle terre rare cinesi, e non hanno grandi alternative alle forniture di Pechino. Inoltre, i dati dicono che gli USA questa guerra commerciale la stanno perdendo: “Le esportazioni cinesi verso gli Stati Uniti sono diminuite di circa il 15% quest'anno. Ma questo non ha rallentato la sua attività di esportazione- scrive New York Times- Continuando a vendere più beni all'estero, la Cina è riuscita a mantenere la propria economia in crescita. Ciò è dovuto non solo alle esportazioni in sé, ma anche ai consistenti investimenti in nuove fabbriche per la produzione di beni da vendere all'estero”. Insomma la Cina ha senza dubbio sofferto della riduzione dell’export verso gli USA, che sono e restano il suo mercato principale, ma ha mostrato di avere numerosi ed efficienti piani B. Piani B che invece gli USA potrebbero non avere, almeno per quanto riguarda le materie prime. Secondo Bloomberg “gli Stati Uniti dipendono dalla Cina per il 70% delle loro importazioni di terre rare. Anche se Trump vuole aumentare l'offerta nazionale, attualmente nel Paese è operativa una sola miniera la miniera di Mountain Pass della MP Materials Corp., riaperta nel 2018, nel deserto del Mojave in California. Avviare altri progetti richiederebbe anni e costi elevati”.

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Luciana Grosso