L’insofferenza di Trump per l’Onu

Del mondo in cui viviamo spaventa la complessità, l'intrecciarsi di nuovi e vecchi problemi e il grado elevatissimo di specializzazione necessaria per sbrogliare la matassa. In una situazione del genere l'ideale sembrerebbe affidarsi a istituzioni in cui si possano mettere a frutto le competenze specifiche di ognuno, tenendo presenti le esigenze di tutti. Donald Trump va in un'altra direzione. Il segreto del suo successo, per lo meno elettorale, risiede in buona parte nella capacità di tranquillizzare una fetta dell'opinione pubblica negando i problemi che la angosciano, oppure offrendo soluzioni di elementare ma solo apparente efficacia. Semplice o semplicistico Il confine tra ciò che è semplice e ciò che è semplicistico è sottile. Le nostre città ci sembrano insicure? Colpa dei migranti. La crisi climatica ci spaventa? Tranquilli, tanto non esiste. In Ucraina ci si massacra quotidianamente? Basta una chiacchierata con Putin e Zelensky. Il discorso Il discorso di Donald Trump all'Assemblea Generale Onu è durato cinquantasei minuti, e come tutti i discorsi di Trump si è trasformato spesso in una sorta di comizio. Davanti al marmo verde del Palazzo di Vetro, il Presidente parlava al mondo, ma senza mai dimenticare che il suo pubblico di riferimento vive negli Stati Uniti. America First. Così Trump ha inanellato in rapida successione quelli che considera i suoi grandi successi: la lotta all'immigrazione, i dazi, la sicurezza nelle metropoli. Il Presidente descrive un'America rispettata nel mondo e un'economia che va a gonfie vele. È la golden age lungamente promessa, sembra di capire. Trump usa toni bellicosi anche quando parla di pace. Ho risolto sette conflitti in sette mesi, ribadisce. "Avrebbero dovuto farlo le Nazioni Unite". Invece neppure una telefonata. All'interno della sede Onu, l’insofferenza di Trump per l’istituzione che lo accoglie si fa quasi fisica: il Presidente si lamenta per la scala mobile e se la prende con il gobbo che non funziona. Dopo il discorso scriverà un resoconto su Truth, e nel post non potrà fare a meno di tornare su questi intoppi meccanici, tutto sommato banali. La faida fra il Presidente e le Nazioni Unite viene da lontano: all'inizio del nuovo millennio Trump si offrì per la ristrutturazione del Palazzo di Vetro, ma la sua proposta venne bocciata. La Trump Tower che si innalza sulla First Avenue, inoltre, sollevò le perplessità di molti, all'epoca della costruzione, perché c'era chi riteneva che la monolitica oscurità del grattacielo minacciasse il candore da colomba del Palazzo di Vetro. Contro le istituzioni multilaterali C'è dell'altro, ovviamente. Il mondo conservatore americano, quello che adesso si identifica per lo più con il movimento MAGA, è sempre stato contrario alle istituzioni multilaterali: i "globalisti", secondo questa visione, non farebbero altro che sottrarre risorse agli Stati Uniti dirottandole verso scopi scarsamente meritevoli e obiettivi che vengono poi puntualmente mancati. Trump è perfettamente in linea con questa scuola di pensiero, ma alla base del suo atteggiamento c'è anche qualcosa di più istintivo e viscerale. Il Presidente è caratterialmente incompatibile con qualunque istituzione che preveda lunghe consultazioni prima di passare all’azione. Non pensa affatto che due cervelli ragionino meglio di un cervello solo, per dirla in maniera molto semplice. Dibattiti e consultazioni, dal suo punto di vista, sono una perdita di tempo. È un tipo da sciabola, non da fioretto. Crede nell'assertività. In politica mostrare i muscoli serve a convincere i cittadini che si sta affrontando un problema con la dovuta energia, anche se non fornisce nessuna garanzia rispetto al raggiungimento di una soluzione. Trump non è necessariamente un isolazionista, ma di certo è un anti-multilateralista. Confida nella politica dei faccia a faccia e delle strette di mano, anche se finora la strategia del "lasciate fare a me" non ha portato lontano, né in Medio Oriente né in Ucraina. Medioriente e Ucraina Sulla Striscia di Gaza la posizione americana non cambia: riconoscere lo stato palestinese è un regalo ai terroristi di Hamas, responsabili del conflitto in corso. Sull'Ucraina, dopo un incontro con Zelensky a margine dell'Assemblea Onu, il pendolo di Trump si è inclinato decisamente verso Kiev: la Russia è una "tigre di carta", che "combatte senza più uno scopo", e l'Ucraina potrebbe addirittura "riconquistare i territori perduti". Non è detto che il pendolo non torni a oscillare in direzione opposta, in futuro. Verba volant. Scripta pure, in questo caso. La realtà è materiale duttile fra le dita del Presidente, la verità anche. Trump ha definito la crisi climatica "una montatura", ma oltre il novantanove per cento dei climatologi di tutto il mondo lo smentisce. Il paradosso è che il surriscaldamento del Pianeta, che per il Presidente è una bugia, è in realtà fra le cause delle migrazioni epocali alle quali stiamo assistendo, le stesse migrazioni che - a detta di Trump - sono il problema principale del nostro tempo. D'altra parte le contraddizioni sono inevitabili quando si cercano soluzioni facili a problemi complessi.

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Federico Leoni