La grazia a El-Fattah e la questione dei detenuti politici in Egitto

Ieri, in Egitto, è successo quel che molti si auguravano da mesi, ma a cui in pochi credevano davvero: la liberazione del dissidente e attivista Alaa Abd El-Fattah. La sua liberazione arriva dopo una detenzione durata, grosso modo, più di dieci anni, e soprattutto dopo anni di attività politica mai davvero sospesa, nemmeno negli anni del carcere. La storia di Abd El-Fattah, infatti è quella di un blogger e attivista che ha iniziato la sua opposizione al regime già nel 2005, in anni nei quali il regime di Hosni Mubarak godeva ancora di ottima salute e appariva inscalfibile. In quegli anni El Fattah fondò un blog, Manalaa, che nonostante del grande successo che ottenne fu considerato un pericolo dal regime. Negli anni successivi El Fattah è stato arrestato più volte, a volte per periodi brevi, altre per periodi più lunghi, sempre con accuse che riguardavano l’ordine pubblico e l’incitazione alla rivolta, anche se non di rado le accuse si sono poi risolte in nulla. I suoi frequenti arresti non sono finiti con il regime di Mubarak, continuando anche nella situazione caotica che ad esso è succeduta, prima con i Fratelli Mussulmani e poi con il regime di Al Sisi. Sotto la presidenza di quest’ultimo, in particolare è arrivato l’arresto definitivo e la condanna più lunga: nel 2013 fu arrestato di nuovo per aver partecipato a una manifestazione non autorizzata, un’accusa che gli costò una condanna a 15 anni, poi trasformati in 5. Nel 2019, poi, Alaa fu arrestato di nuovo, con l’accusa di aver «diffuso notizie false» su Facebook, cosa che, nel 2021, gli costò una nuova condanna a cinque anni. Una pena che, in teoria, avrebbe dovuto finire nel 2024, ma alla quale, almeno fino a ieri, mancavano ancora due anni, perché le autorità egiziane avevano deciso, arbitrariamente, di non conteggiare i due anni passati in custodia cautelare prima della condanna. In questo quadro di persecuzione politica e di condanna sine die, ieri, è arrivata, piuttosto sorprendentemente, la notizia della grazia concessa dal presidente e del suo rilascio. Un rilascio e una grazia le cui ragioni non sono ancora chiare, e che hanno riguardato altri cinque prigionieri politici. Una cosa insolita per il regime egiziano, che anzi, è avvezzo a usare la detenzione degli oppositori come strumento politico, ma che, pochi mesi fa, aveva rimosso il nome di El-Fattah dalla lista dei terroristi interni. Nel dettaglio, secondo i numeri riportati dal New York Times, si stima che i detenuti per ragioni politiche, in Egitto, siano circa 60mila, il che significa la metà dei 120mila detenuti in Egitto. Tra questi 60 mila, secondo un’analisi del giornale americano, almeno 4.500 sono stati detenuti senza processo in un periodo di sei mesi e, anzi, il grande via vai di oppositori politici nei centri di detenzione egiziani ha portato il governo di Al Sisi a dover costruire 60 centri di detenzione negli ultimi 11 anni. Quindi, quel che sorprende, della liberazione di El-Fattah è il fatto che sia arrivata da un regime che gli avversari tende a imprigionarli, non a liberarli. Un’altra cosa che sorprende è il fatto che, a essere liberato, non sia stato un avversario qualunque, ma un attivista noto e popolare anche fuori dall’Egitto. Oltre che un oppositore che non ha mai smesso di ergersi contro il regime, nemmeno negli anni della prigionia. Anzi, è stato forse proprio nel periodo della detenzione che il nome di El-Fattah è diventato più celebre e conosciuto, anche grazie alla raccolta di saggi “Non sei ancora stato sconfitto”, una raccolta di scritti, trafugati dalla sua cella, e tradotti in buona parte del mondo, con la prefazione di Naomi Klein. Un libro che ha portato il senso della lotta di El-Fattah, e in generale di quel che resta delle primavere arabe, al di fuori dell’Egitto e in tutto il mondo. Una lotta che, negli ultimi mesi, ha preso la forma della vicinanza al popolo palestinese, cui El-Fattah si è sempre detto estremamente vicino. Oggi, probabilmente, più che mai.

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Luciana Grosso