L'incontro tra Trump e Zelensky ci dà poche, fragili, certezze

Molto rumore per nulla? Beh, quanto meno per poco. Perché alla fine del weekend più pazzo della diplomazia mondiale la guerra in Ucraina è ancora lì dove l’avevamo lasciata, e l’ipotesi di un incontro tra il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e quello russo Vladimir Putin appare decisamente lontana. Sì, certo, alla fine del weekend lungo iniziato con l’incontro di Anchorage e finito con la grande riunione dell’occidente alla Casa Bianca, abbiamo qualche elemento di cui discutere. Ma si tratta di ipotesi e non di elementi, in nessun caso, concreti. Si sa, per esempio, che la Russia potrebbe ipoteticamente interrompere le ostilità se le venissero concessi i territori che vuole e che sono più ampi di quelli che ha ottenuto militarmente. Si sa anche che l’ipotesi di un cessate il fuoco al momento non è sul tavolo, perché Mosca non ha nessuna intenzione di trattare ad armi spente. Si sa, anche, che qualora si arrivasse a un incontro tra Putin e Zelensky e a un accordo di pace, il territorio ucraino potrebbe trasformarsi nel ‘porcospino d’acciaio’ più volte evocato da Ursula Von der Leyen, ossia una fortezza inespugnabile e armata fino ai denti. Si sa anche che i Paesi che fanno parte della coalizione dei Volenterosi, una specie di sottoinsieme della Nato ma senza gli Stati Uniti, potrebbero decidere di inviare truppe sul suolo di Kiev, per assicurarsi che la tregua sottoscritta da Putin non si trasformi in una specie di rincorsa per prendere più slancio in un nuovo, e definitivo, assalto all’Ucraina e da lì al resto d’Europa. Si sanno insomma tutte queste cose. Ma la verità è che di nessuna di loro si sa quanto e come siano vere o verosimili. Perché alla fine degli incontri di Anchorage e di Washington, quel che rimane sul tavolo, al di là delle fanfare, dei tappeti rossi e dei protocolli, e dei completi borghesi - ma senza cravatta - indossati al posto delle divise, il fatto che per due volte nel giro di pochi giorni si sono tenuti vertici chiave per la sorte della guerra in Ucraina. E per due volte si sono risolte con un nulla di fatto, con un generico rinvio a tempi migliori. Se ci si chiede come sia possibile che vertici di tale caratura e peso si siano conclusi con un nulla di fatto, la risposta è semplice e sta, per così dire, nel manico. Perché quegli incontri sono stati pianificati e progettati da Donald Trump, la cui politica, in ogni campo, dai dazi alla questione energetica, dalla sfida ai migranti a quella alla criminalità, si regge sulla sua presenza e sulla sua visibilità. Trump è l’architrave del trumpismo. E questi incontri, potenzialmente cruciali ma praticamente inconcludenti, sono stati trumpismo allo stato puro. Non si è parlato mai, o quasi, di guerra o di pace. Ma di Trump e del suo ruolo di mediatore. Un mediatore molto poco efficace, in realtà, dal momento che il suo ruolo si è limitato a ripetere quello che si sa da anni e a rimandare ogni decisione ai Paesi coinvolti, senza svolgere nessun reale ruolo di mediazione o di negoziazione. E vedersi riconoscere questo ruolo e questo peso era allo stesso tempo quello che Trump voleva e quello che Russia, Ucraina e Unione europea gli hanno dato, sicuri in questo modo di ammansirlo, lusingarlo e averlo dalla propria parte quando verrà il momento. Ma, visto che con Trump si parla di forma che si fa sostanza, allora occorre parlarne davvero di forma e dedicare qualche attenzione ai dettagli, anch’essi orpelli di forma trasformati in monumenti di sostanza. È sostanza il fatto che Putin sia stato fatto camminare sul tappeto rosso; è sostanza il fatto che Trump sia andato fino in Alaska per incontrare Putin, mentre non si sia spostato dal tinello di casa sua per incontrare i leader europei; è sostanza il fatto che abbia chiesto a Zelensky di indossare un abito borghese invece della solita divisa; è sostanza il fatto che abbia portato Emmanuel Macron a sfilare davanti alla sua collezione di cappellini MAGA, inclusi quelli che, invocando apertamente il golpe e il rovesciamento della costituzione, recano la scritta Trump 2028; è sostanza il siparietto cui Zelensky si è prestato per rimediare al gelo della sua ultima visita alla Casa Bianca. Tutto questo è sostanza, così come è sostanza il fatto che nel corso di due vertici in quattro giorni si sia parlato di tutto tranne che di un concreto piano per la fine della guerra.

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Luciana Grosso