Dialogo e minacce nucleari: a che punto è il rapporto tra Usa e Russia

Otto mesi dopo il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, i rapporti tra Stati Uniti e Russia hanno assunto contorni più tesi e imprevedibili del previsto. Quella che sembrava una relazione destinata alla distensione si è invece caricata di minacce, scambi polemici e manovre militari che riportano alla mente scenari da Guerra Fredda. Fin dal novembre 2016, momento della sua prima vittoria alle presidenziali, sembrava che il rapporto tra Donald Trump e Vladimir Putin fosse improntato a una sintonia quasi totale. Anzi, iniziarono subito a circolare voci — poi oggetto di una corposa inchiesta — secondo cui l’elezione di Trump fosse frutto di un’operazione di disinformazione orchestrata da Mosca. Durante gli anni successivi, sia nel primo mandato di Trump che nel corso della presidenza di Joe Biden, il filo diretto tra i due leader non si è mai spezzato: anche quando il presidente americano era formalmente Biden, si racconta che Trump e Putin si siano sentiti più volte. In campagna elettorale Trump ha più volte accusato Biden di essere responsabile dell'invasione dell’Ucraina, incapace di prevenirla e poi di fermarla. Addirittura, nel dibattito con Kamala Harris, Trump aveva affermato che, se fosse stato eletto, avrebbe risolto la questione in 24 ore, prima ancora di entrare ufficialmente in carica. Il suo piano? Parlare con entrambi i leader e convincerli a trovare un accordo. A otto mesi dalla sua vittoria e sei mesi dopo l’insediamento, è evidente che le cose non sono andate secondo le previsioni. Al contrario di quanto molti analisti temevano, non si è verificato alcun "voltafaccia" da parte degli Stati Uniti. Il sostegno a Kiev è rimasto solido e i rapporti con Mosca sono diventati insolitamente tesi. Trump si è detto “molto deluso” da Putin, accusandolo di voler prolungare la guerra per rafforzare la sua posizione al tavolo negoziale. Poche settimane fa, nel corso di un vertice con il primo ministro britannico Keir Starmer, Trump ha dato alla Russia un ultimatum di dieci giorni per porre fine al conflitto, minacciando in caso contrario una “durissima risposta americana”. Ufficialmente si è parlato di nuove sanzioni, sebbene fino ad oggi quelle economiche abbiano avuto un’efficacia limitata. Ma, nella pratica, si è andati oltre: l’ipotesi di uno scontro diretto Usa-Russia è improvvisamente tornata sul tavolo. Remota, certo. Ma non più inverosimile. La situazione è precipitata dopo un botta e risposta tra Trump e Dmitry Medvedev. L’ex presidente russo, oggi vicepresidente del consiglio di sicurezza, ha pubblicato un post su X in cui — pur senza fare nomi — metteva in guardia il presidente americano dal lanciare ultimatum, sottolineando che “la Russia non è l’Iran” e che “certe minacce portano verso un altro tipo di guerra: non più con l’Ucraina, ma con chi le formula”. Trump, fedele al suo stile da social network, ha replicato su Truth definendo Medvedev “un ex presidente fallito” e avvertendolo che stava entrando in un terreno pericoloso. Non è finita lì: Medvedev ha risposto via Telegram evocando per Trump “uno scenario simile a quello di The Walking Dead”. Da quel momento la schermaglia social ha preso una piega più seria. Secondo fonti americane, Trump avrebbe dato ordine di riposizionare due sottomarini nucleari “in aree appropriate”, nel caso in cui le dichiarazioni russe non fossero soltanto parole infiammatorie. Da Mosca, almeno per ora, non sono arrivate reazioni ufficiali: la strategia sembra essere quella di ignorare e raffreddare i toni. Alla luce degli sviluppi, la domanda è inevitabile: quanto è concreta oggi l’ipotesi di un deterioramento irreversibile nei rapporti Usa-Russia? Possibile che si arrivi davvero a un conflitto aperto tra le due potenze nucleari? Trump, del resto, ha sempre avuto un atteggiamento ambivalente: vicino a Putin, poco coinvolto nelle sorti dell’Ucraina, ma deciso a imporsi sulla scena internazionale come uomo forte e imprevedibile. Una guerra, però, sarebbe ben oltre ogni precedente. Difficile dire quanto ci sia di reale e quanto di strategico. Anche perché, per ragioni di intelligence, non sappiamo se e dove siano stati realmente spostati i due sottomarini. E non è nemmeno chiaro se Medvedev parli per sé o agisca in nome e per conto di Putin: l’ex presidente russo, secondo indiscrezioni, sarebbe caduto in disgrazia, pur continuando a usare toni che sembrano autorizzati dall’alto. Quel che è certo è che la diplomazia pare cedere sempre più spazio al linguaggio della minaccia. E se questo trend dovesse proseguire, sarà difficile distinguere dove finisca la retorica muscolare e dove inizi il rischio reale di un’escalation.

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Luciana Grosso