Proteste in Serbia, l’estate infuocata di Vučić

Da mesi gli esperti preannunciavano un’estate caldissima, con temperature capaci di battere anche quelle record del 2024. Le aspettative non sono state disattese. Tra venerdì e sabato è previsto il picco in Serbia, con massime da 42 gradi in alcune aree. Ma se il termometro meteorologico schizza, anche quello politico si allinea. E il presidente Vučić, che da mesi è il bersaglio di un grande movimento di protesta studentesco e civico anticorruzione, vive una stagione infuocata. Mentre negli ultimi giorni, dopo settimane di lotta dura, sembrava potesse finalmente tirare un sospiro di sollievo - le manifestazione continuano ma su scala ridotta - un sondaggio delinea scenari finora solo immaginati. Se si votasse oggi, secondo un importante istituto di ricerca indipendente, i candidati degli studenti vincerebbero con uno stacco di ben dieci punti. La calda estate serba è iniziata il 28 giugno con una grande manifestazione a Belgrado, convocata in un giorno fondamentale per il calendario civile e religioso, il Vidovdan: nel Giorno di San Vito, questa la traduzione, si celebra il sacrificio del martire, ma quel 28 è un numero che risuona e ritorna. Il 28 giugno del 1389, data cara ai nazionalisti, alle Piane dei Merli, in Kosovo, si scontrarono le forze cristiane guidate dal principe serbo Lazar e le truppe ottomane. Il tradizionale discorso del presidente quest'anno è scivolato in secondo piano: nella capitale per un Vidovdan alternativo si sono riunite, secondo l’Archivio dei raduni pubblici, 140mila persone, un numero sicuramente inferiore alla grande manifestazione del 15 marzo scorso, ma che testimonia la tenuta del movimento a distanza di 7 mesi dal crollo della pensilina della stazione ferroviaria di Novi Sad, la tragedia “evitabile” che ha causato 16 morti ed è stata la scintilla del dissenso covato in oltre dieci anni di potere Vučić. Al di là dei richiami storici e simbolici, si è trattato della prima grande protesta da quando gli studenti hanno avanzato la richiesta di elezioni anticipate. Non scontato voler andare al voto, con la presunzione di trionfare sull’establishment, in un Paese in cui nel 2023 le elezioni si sono svolte con gravi irregolarità e anche le ultime amministrative hanno confermato questo trend. Al grido di “Hoćemo izbore” , dal palco di una piazza Slavija gremita, snodo fondamentale della città, gli studenti hanno svelato una nuova strategia che si può sintetizzare così: “Da oggi non saremo più gli unici leader della protesta, via libera all'iniziativa spontanea dei cittadini”. Un modo per radicalizzare, nel senso non violento del termine, il dissenso ed estenderlo, mentre sono ancora al vaglio i nomi da iscrivere nelle liste di candidati per il futuro sbocco parlamentare. Una fase due che ha preso forma nell’immediato. A margine della manifestazione, sono andati in scena scontri con le forze dell’ordine e decine di arresti. Parliamo dell’ondata più significativa di repressione da novembre, che non si è fermata nei giorni successivi, quando in moltissime città del Paese sono stati avviati blocchi stradali sistematici e diffusi. Che il 28 giugno sia stato un punto di svolta è stato confermato l’indomani dalle dichiarazioni del ministro degli Esteri Russo Lavrov che si è espresso contro “la rivoluzione colorata” in Serbia. Parole rimbalzate sulla stampa internazionale che hanno riportato le proteste a una dimensione geopolitica. La Serbia è del resto il Paese diviso tra Est-Ovest, tra i legami storici con la Russia e un processo di integrazione all’Ue arenato ma mai archiviato, un Paese retto da un presidente che ha alternato stagioni di lampante vicinanza a Mosca ad altre di vero o presunto filo-europeismo, e che ora si trova più che mai a destreggiarsi acrobaticamente tra i due fronti con un’ambivalenza che è diventata un tratto distintivo della sua leadership. In piazza chi manifesta non sventola bandiere Ue, come in Ucraina e in Georgia, ma ampi settori del movimento credono che il futuro del Paese sia ad Occidente e che si stia combattendo per i valori fondanti dell’unione dei 27. “L'Unione Europea tace, non ha fatto e detto nulla per sostenere le proteste. Abbiamo capito che non possiamo aspettarci niente da Bruxelles. Stiamo lottando da soli e combatteremo da soli. Non ci fermeremo fino a nuove elezioni anticipate”, confessa Ana, 42 anni, riassumendo in poche parole il disamoramento di molti serbi nei confronti di una Ue che un tempo catalizzava speranze e ottimismo. Dietro di lei una fila di secchioni della spazzatura utilizzati per impedire l’accesso alle macchine in uno dei più importanti incroci di Zemun, sobborgo di Belgrado, tra i luoghi che hanno resistito per più giorni dietro le barricate. Anche dopo la fine del lungo blocco delle prime settimane di luglio, il quartiere storico è tornato al centro delle cronache con nuove iniziative di protesta e di interruzione della circolazione. Uno studente di 21 anni si fa avanti per parlare: è sempre più difficile intervistare gli universitari che sentono di essere ora più che mai target delle ritorsioni delle autorità. Hanno paura di essere arrestati ma soprattutto che per via della loro esposizione i familiari subiscano ripercussioni lavorative. “Il governo sta agendo con la violenza, è sotto gli occhi di tutti. Inoltre, i vertici stanno diffondendo fake news sul movimento per screditarci”, sottolinea il giovane in un sabato sera estivo che ha scelto di consacrare alla protesta. I crocevia occupati, i blocchi stradali sono anche momento di incontro, come per Zoran 23 anni che ha disteso per terra un lenzuolo: “Sono venuto per far sentire la mia presenza, esserci, occupare questo spazio è importante”, sottolinea. Per capire davvero cosa sta succedendo in Serbia, bisogna, però, fare tre ore di viaggio in pullman ed allontanarsi dal cuore della vita politica ed economica del Paese, inoltrandosi nelle aree rurali e periferiche. Il movimento che da novembre agita il Paese ha dato prova fin dall’inizio di non essere un passatempo dell'élite belgradese e di avere seguaci un po’ ovunque. Certo in prima linea c’è Novi Sad, il capoluogo della Voivodina dove tutto è cominciato, ma decine e decine di altri distretti sono coinvolti in modo prorompente. Ed è proprio lontano dalla capitale che a luglio si sono concentrati gli sforzi. Užice, una cittadina con meno di 100mila abitanti nella parte occidentale del Paese, è diventata da un giorno all’altro l’epicentro delle proteste. L’arresto di nove persone, tra cui alcuni rappresentanti locali della formazione politica Fronte verde della sinistra, ha acceso gli animi degli uzicani che hanno nel DNA la lotta, o “borba” per dirlo alla serba. Užiče è stato infatti il primo territorio liberato dell’Europa occupata dai nazisti. Poco importa se l’area dopo due mesi fu persa delle formazioni partigiane jugoslave, comandate da Josip Broz “Tito”, e l’esperienza della Repubblica fu effimera, quel precedente è rievocato continuamente per sottolineare la continuità storica. Il 13 luglio, una domenica assolata, Užice è stata teatro di una grande manifestazione nazionale. Ognjen, disoccupato, è arrivato da Belgrado per vendere spille con la mano sporca di sangue, simbolo delle proteste, vuvuzelas e fischietti. “Mi sono reinventato come ambulante da quando è nato il movimento a novembre, ora vendo gadget per chi manifesta: ho fatto questa scelta non solo perché ho perso il lavoro, ma perché credo fortemente nella necessità di un cambio di regime. La corruzione è dilagante e per fare qualsiasi cosa, per ottenere un documento o per risolvere problemi burocratici, sei costretto a tirare fuori i soldi e pagare qualche funzionario”, ci racconta arrabbiato, puntando il dito anche contro le privatizzazioni. “I beni pubblici sono stati regalati a privati e noi continuiamo a impoverirci”. Il rientro di settembre si presenta ancora con molte incognite: ci si chiede cosa succederà nelle università dove da dicembre la didattica è sospesa con eccezioni per le lezioni online, che tipo di azioni di disobbedienza civile saranno messe in campo, ma soprattutto si cerca di fare ordine tra le tante dichiarazioni del presidente sulla prospettiva di sciogliere il Parlamento e soddisfare la richiesta di elezioni anticipate. Se in un primo momento aveva affermato che solo dopo il completamento degli ultimi lavori per EXPO, che si terrà in Serbia nel 2027 e la cui gestione è stata ferocemente criticata dalle opposizioni, si potrà andare alle urne, negli ultimi giorni è tornato sul tema, dicendo che potrebbero svolgersi a dicembre di quest'anno o a dicembre dell'anno prossimo. Da parte dei vertici arrivano non pochi segnali di nervosismo e affermazioni, in primis provenienti dal presidente, volte a screditare il movimento contestatario. Vučić si presenta come il leader minacciato dalla rivoluzione colorata “meglio organizzata e finanziata”, parole sue, sul suolo europeo. E da qualche giorno i media vicini al potere hanno una matassa in più da sbrogliare e un nuovo nemico politico: l’istituto di ricerca Sprint Insights che ha diffuso un sondaggio tutt'altro che luminoso per il partito al potere. Se si tenesse una competizione elettorale tra la lista degli studenti e la coalizione del Partito Progressista Serbo, la coalizione al governo subirebbe una sconfitta netta. A fare la differenza sarebbero i tanti astensionisti che sono disposti, secondo l’istituto, a tornare a votare grazie agli studenti e a un rinnovato entusiasmo per la cosa pubblica. Come scrivono da settimane molti media serbi di opposizione, dopo un’estate calda è in arrivo un autunno “tempestoso”.

Cosa vedere:

Come vederlo:

Online con Sky:

Proteste in Serbia, l’estate infuocata di Vučić