Ritorno sul campo del Guber di Srebrenica, vincere contro il genocidio

Ultima di campionato, c’è il pericolo retrocessione. Gli avversari dell’Hercegovac Bileća sono già salvi, ma per l’FK Guber scendere di categoria significherebbe la probabile fine del club di Srebrenica nato nel 1924. Perché il Guber è l’unica squadra di calcio multietnica nella Republika Srbska – l’entità serba dello stato bosniaco, e finire nella terza divisione vuol dire giocare in un girone infernale, andare in trasferta nei piccoli centri dove gli uomini indossano ancora le vecchie mimetiche di trenta e passa anni fa, dove ti può arrivare uno sputo sulla schiena mentre batti un fallo laterale, dove a chi porta sulla maglietta un cognome musulmano urlano “turco di merda” e al suo compagno di squadra serbo “puttana traditrice”. Che è quello che accadeva al Guber negli anni passati anche in seconda divisione nei centri più grandi nella valle della Drina, tipo Visegrad, Bijelina, Zvornik, quando dalle tribune partiva come una granata il classico “noz, zica, Srebrenica” - coltello, filo spinato, Srebrenica – oppure il più guerriero “Mladic-Mladic-Mladic”, in onore di Ratko Mladic, il boia di Srebrenica, il generale che esattamente trent’anni fa ordinava l’eliminazione di oltre ottomila bosniaci musulmani, in parte radunati anche sul campo del Guber prima di essere trasferiti per il massacro e poi sepolti nelle fosse comuni. Il capitano Aljo Smajlovic dice che retrocedere vuol dire rivivere quell’incubo e pensa che ben pochi rimarrebbero: “Il Guber è il nostro unico grande amore, per tutti, serbi e musulmani. È l’unica ragione per non scappare da Srebrenica. Senza il Guber me ne andrei in Austria”, dice. Poi è questione di soldi, le casse sono pressoché vuote e in caso di retrocessione servirebbe un minimo d’investimento per aspirare a risalire nell’attuale categoria regionale . Mostrano video di fan celebri: i ricchi campioni bosniaci che giocano in Europa, Edin Dzeko, Miralem Pjanić, Anel Hadzić, generosi di bellissime parole e di promesse. Ma nessuno che faccia mai un bonifico, dice il responsabile delle giovanili. È quello più teso prima della partita. Pensa ai suoi ragazzini: “Ciò che ha reso speciale il Guber è certo il nostro passato, quel tornado di disumanità che ha travolto Srebrenica nel luglio del 1995, ma anche essere l’unica occasione per i ragazzi di qui di credere nella vita, diventare amici”. Nella stanza dei trofei ci sono le foto degli anni Ottanta, quando il Guber vinceva anche contro le grandi e arrivò quasi fino in fondo alla coppa Maresciallo Tito nel 1989. Diversi di quei giocatori sono tra le oltre ottomila vittime del genocidio. Irvin Mujcic, figlio di un attaccante i cui resti non si sono ancora trovati, dice che questa partita vuol dire “mantenere una promessa di speranza”. Il campo si trova a poche curve dal memoriale e dal sacrario, una distesa di 6.671 steli di marmo piantate nell’erba, quelle con i nomi delle vittime identificate. La partita va vinta anche per chi non c’è più. Ma se è dura resistere per il Guber lo è ancora di più per Srebrenica, la cittadina martire che si trova inclusa, dopo il trattato di Dayton siglato 30 anni fa, nella parte serba della Bosnia, dove dal presidente Milorad Dodic in giù negano il genocidio. L’Onu aveva stabilito Srebrenica zona di sicurezza, s’era riempita di decine di migliaia di profughi dall’intera regione orientale. Fuggiti a Srebrenica per salvarsi la pelle. Invece Srebrenica diventa la loro trappola. Con l’enorme responsabilità dell’Onu e dell’Europa. I caschi blu olandesi si mostrarono impotenti di fronte agli ultimatum del generale Mladic. Ottiene tutto ciò che vuole: la consegna dei maschi validi, persino la benzina per evacuarli. Gli uomini vengono portati via, caricati sui camion. Sarà il più grande massacro dalla Seconda guerra mondiale. La partita del Guber si gioca anche sotto il peso di questa macabra ricorrenza. I ragazzi la vincono agevolmente per 3 a 0 e la stagione è salva. Ma nessuno esulta davvero, come se ci fosse un generale senso di pudore verso quelle steli conficcate nell’erba.

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