Le donne del Sole palestinesi, unite (anche alle israeliane) per resistere

Sono studentesse, madri, imprenditrici, insegnanti o leader di organizzazioni. Le Donne del Sole sono una ong palestinese che crea percorsi imprenditoriali per l'ingresso delle donne in settori dominati dagli uomini come la politica, gli affari e la tecnologia, oltre a compiere un'impresa piena di coraggio e speranza: riunire le donne palestinesi e israeliane - nonostante l'immane sofferenza per il massacro senza fine a Gaza - per facilitare il dialogo e promuovere la comprensione reciproca. L'associazione, composta da circa 3500 donne provenienti dalla Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est è nata nel 2021 a Betlemme e nei giorni scorsi si è aggiudicata la vittoria della seconda edizione del premio - pari a 60 mila euro - per l'emancipazione femminile dell'assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa che porta il nome della prima presidente donna eletta democraticamente al mondo, l'islandese Vigdis Finnbogadottir. Le altre due candidature in lizza erano quella della francese Gisele Pelicot e della ong "the green girls" del Camerun: tre finaliste scelte tra oltre 100 candidature arrivate da tutto il mondo. "A ogni ragazza che crede che il suo sogno non diverrà realtà o che la sua voce non è ascoltata, dico, non sei sola", ha detto durante la premiazione la fondatrice Reem Hajajreh, economista di formazione cresciuta nel campo profughi di Dheishesh, Cisgiordania, evidenziando che il premio ricevuto è "un messaggio al mondo per investire nelle donne e credere in loro". Reem racconta a Sky TG24 Insider che Women of the Sun è nata quattro anni fa durante un periodo di profonda frustrazione e perdita, ma anche rinnovata determinazione. "Ogni donna che si unisce a noi porta con sé la sua storia, il suo dolore, la sua forza e, insieme, stiamo tessendo una voce collettiva che non può più essere ignorata", dice. "Siamo nate dal grido di madri, figlie e attiviste che non potevano più accettare di essere testimoni silenziose di violenza e disuguaglianza. I nostri obiettivi sono sia urgenti che a lungo termine: dare potere alle donne e ai giovani palestinesi, economicamente e politicamente, e costruire una cultura di pace radicata nella giustizia e nella dignità umana". Reem, cosa rappresenta per voi questo premio? Per noi non è solo un riconoscimento: è un'ancora di salvezza per le donne che stanno ricostruendo le proprie vite e rivendicando il proprio potere – economicamente, politicamente e personalmente. È un passo verso un futuro in cui le donne contribuiscono a fermare la guerra. Come è cambiato il vostro lavoro con lo scoppio della guerra a Gaza? La guerra ha cambiato tutto. Prima organizzavamo workshop per giovani, incontri di pace e progetti economici. Poi, all'improvviso, ci siamo ritrovate a raccogliere aiuti di emergenza e a organizzare sessioni di guarigione dai traumi per donne che avevano perso tutto. Ci siamo adattate rapidamente, non perché fossimo preparate, ma perché il dolore era troppo profondo per essere ignorato. Abbiamo creato iniziative di narrazione per documentare gli orrori che le donne stavano affrontando. E usato le nostre piattaforme per parlare quando il mondo rimaneva in silenzio. Ci siamo create uno spazio per piangere, urlare, e andare avanti. La guerra non ha fermato la nostra missione: l'ha resa più urgente. Ci ha ricordato che la pace non è un lusso, è sopravvivenza. Dall'ottobre 2023 a oggi, migliaia di donne palestinesi sono state uccise da Israele, spesso insieme ai loro figli. C'è qualcosa che possiamo fare per fermare questo massacro? Sì, c'è sempre qualcosa che possiamo fare, ma abbiamo bisogno di coraggio globale. Questo massacro continua perché il mondo lo permette. I leader politici devono smettere di nascondersi dietro la neutralità e agire per proteggere i civili. Anche la società civile deve alzare la voce, organizzarsi e chiedere conto delle proprie azioni. I media devono raccontare tutta la verità: non solo numeri, ma nomi, sogni e storie. Come donne palestinesi, continuiamo a resistere, ma non possiamo farcela da sole. Ogni messaggio, protesta, articolo e donazione è importante. Crediamo nel potere dell'azione collettiva. Il mondo è sufficientemente interessato a ciò che sta accadendo in Palestina? No. Purtroppo, la risposta globale alle sofferenze palestinesi è spesso fredda e lenta. Quando donne e bambini vengono uccisi altrove, il mondo si idigna pubblicamente. Ma quando accade a Gaza o a Jenin, spesso regna il silenzio o, peggio ancora, sentiamo giustificazioni a quello che accade. Noi continuiamo a parlare, non perché ci aspettiamo che il mondo ci salvi, ma perché speriamo che possa iniziare a vederci. Non siamo solo una zona di conflitto, siamo persone con sogni, cultura e famiglie. Meritiamo attenzione: non solo nella tragedia, ma nella vita. Women of the Sun è gemellata con Women Wage Peace, il movimento pacifista israeliano. La vostra alleanza sta riuscendo a resistere? Sì. Ovviamente è stata messa alla prova, soprattutto in questi mesi dolorosi, ma sta tenendo duro perché si basa sulla verità e sul rispetto, non sulle illusioni. Non nascondiamo le nostre differenze o il nostro dolore. Parliamo onestamente, piangiamo insieme, ascoltiamo. Anche quando è difficile. Questo tipo di relazione è rara, soprattutto ora. Ma crediamo che sia possibile perché siamo donne e perché abbiamo preferito la pace alla vendetta. Il nostro lavoro congiunto non consiste nel fingere di essere uguali: vogliamo costruire un ponte in cui entrambe le parti portino le loro verità e continuino a camminare l'una verso l'altra. Condividete la stessa speranza? Sì, quella che un giorno i nostri figli cammineranno liberi in questa terra, non come nemici, ma come vicini. La nostra speranza è stata plasmata dalla perdita, ma rimane viva. Sappiamo che la pace senza giustizia è impossibile, e lavoriamo per entrambe. La speranza per noi non è un sentimento, ma una una scelta che facciamo ogni giorno, anche quando tutto intorno a noi crolla. Perché avete scelto di chiamarvi "Donne del sole"? Perché il sole simboleggia la luce, la vita e la resilienza, ma il nome è anche un omaggio al "sunbird" palestinese, un uccello che ha un profondo significato per noi. Piccolo ma impavido, con le sue piume scintillanti e la sua energia instancabile, sfreccia tra i fiori. Nonostante le sue dimensioni, sopravvive contro ogni avversità: siccità, distruzione, minacce ambientali e umane. È un simbolo ufficiale della Palestina e, come le nostre donne, è allo stesso tempo bello e forte, fragile e fiero. Per molti versi ci assomiglia: portiamo pesanti fardelli ma ci muoviamo con grazia. Viviamo sotto occupazione ma continuiamo a cantare. C'è una storia particolare di una donna palestinese che per voi è d’ispirazione? Ce ne sono tante. Ma una che mi è rimasta impressa è quella di Wisam, la nostra coordinatrice a Gaza. Dopo aver perso la casa e i familiari nei bombardamenti, ha trovato un piccolo angolo in una scuola distrutta e ha radunato i bambini del quartiere per fargli lezione, cantare con loro e aiutarli a esprimere le proprie emozioni. Wisam ha trasformato le macerie in un'aula. La sua storia non è sui titoli dei giornali, ma per noi è un'eroina. Rappresenta l'anima delle Donne del Sole: afflitta e generosa allo stesso tempo. Durante la cerimonia di premiazione avete affermato di non essere vittime da salvare, ma di meritare sostegno. Esiste ancora un forte pregiudizio contro le donne musulmane? Assolutamente sì, e non solo contro le donne musulmane. In tutto il mondo, le donne sono troppo spesso viste attraverso una lente ristretta: senza voce, oppresse o persino pericolose. Questi stereotipi non sono soltanto offensivi, ma profondamente dannosi. Permettono alle società e alle istituzioni di ignorare le nostre lotte, di parlare di noi senza parlare con noi e di negarci la nostra capacità di agire. Che siano musulmane, indigene, nere, latine, asiatiche, ebree, cristiane, laiche o di qualsiasi altro background, le donne si trovano ad affrontare sistemi che cercano di metterci a tacere, sminuirci o cancellarci. Ma non restiamo in silenzio. Ci stiamo organizzando, resistendo, e creando cambiamenti in ogni angolo del mondo. A chi avete dedicato il premio? A ogni donna palestinese che ha portato suo figlio attraversando un posto di blocco, seppellito i suoi cari in silenzio, si è fermata tra i soldati e la sua casa, o ha tenuto unita la sua comunità dopo la distruzione. Questo premio è per le donne che non hanno medaglie, non hanno un palcoscenico, non hanno titoli sui giornali dedicati a loro, ma sono la ragione per cui sopravviviamo ancora. Come utilizzerete il denaro ottenuto? Lo investiremo dove più c’è bisogno: nella guarigione, nell'emancipazione e in un impatto duraturo. Una parte dei fondi sosterrà sessioni di recupero dal trauma per donne e giovani a Gaza e in Cisgiordania, aiutandoli a trovare stabilità e speranza dopo perdite inimmaginabili. Ma la guarigione deve andare di pari passo con l'emancipazione: ecco perché utilizzeremo il premio anche per sostenere programmi di sviluppo economico che aiutino le donne a costruire mezzi di sussistenza sostenibili, soprattutto quelle che hanno perso tutto. L'indipendenza economica non è solo un bisogno, è una forma di resistenza. La vera pace arriverà solo quando le donne palestinesi avranno un posto, e una voce a ogni tavolo in cui si decide il loro futuro. Cosa sperate per le donne palestinesi? Spero che vivano in libertà, non solo politica, ma anche emotiva e personale. Spero che camminino senza paura, crescano i loro figli in pace e sognino senza limiti. Spero che siano rappresentate nel governo, nei media, nei negoziati. Pensa che se ci fossero donne come leader delle principali potenze mondiali, le cose potrebbero andare meglio? Sì, se queste donne agissero con coscienza e compassione. Le donne spesso portano una visione relazionale e a lungo termine alla leadership. Capiscono che la guerra non finisce quando le armi tacciono, finisce quando inizia la guarigione. Ma essere donne non basta: ciò di cui abbiamo bisogno sono leader femministe che diano priorità alla vita rispetto alle terre, alla dignità rispetto al dominio e alle persone rispetto alla politica. Se ci fossero più leader con questa visione il mondo sarebbe più giusto, più umano e più completo.

Cosa vedere:

Come vederlo:

Online con Sky:

Le donne del Sole palestinesi, unite (anche alle israeliane) per resistere