Yasmina Khadra: “Le colpe della Francia nella mancata liberazione di Sansal”

“Ho la fortuna di avere una doppia cultura. Sono allo stesso tempo arabo-berbero e immerso nel contesto occidentale e per questo capisco entrambi i mondi”, racconta a Sky TG24 Yasmina Khadra, nom de plume femminile preso in prestito dalla moglie, di Mohammed Moulessehoul. Ex ufficiale dell'esercito algerino, Khadra ha esordito sotto falso nome nel 1990 per sfuggire alla censura militare e ha vissuto in prima persona la guerra civile del Decennio nero. Ha svelato la sua identità solo nel 2001, dopo essersi autoesiliato in Francia. Acerrimo oppositore del regime ventennale di Abdelaziz Bouteflika, terminato con le sue dimissioni nel 2019 sullo sfondo del movimento di contestazione popolare, in arabo al Hirak, Khadra è uno dei pochi intellettuali algerini ad avere un canale di comunicazione diretto con l’attuale presidente autocrate Abdelmajid Tebboune, che ha spesso richiamato alla ragionevolezza in occasione di casi di lampante repressione del dissenso interno, come quello dell’arresto del giornalista Ihsane El Kadi, nel 2024. Alla luce di questa vicinanza il colloquio che Khadra ha avuto con Tebboune a inizio giugno ha suscitato molte speranze per la liberazione dello scrittore algerino naturalizzato francese Boualem Sansal, in carcere da novembre. È accusato, in un momento di deterioramento delle relazioni tra l'Hexagone e lo Stato nordafricano, di apologia del terrorismo e di aver minato all’integrità algerina con le sue dichiarazioni al giornale francese di estrema destra Frontières a proposito della sensibile questione del Sahara occidentale, territorio conteso tra il Marocco e il Fronte Polisario, su cui l’Algeria rivendica la propria sfera di influenza. L’autore di “2084. La fine del mondo” è da sempre uno dei più strenui critici del “Pouvoir” e un simbolo della lotta al fondamentalismo religioso, figura divisiva non soltanto in Algeria, ma anche in Francia e altrove, dove viene criticato per le sue posizioni giudicate “estremiste” nei confronti della religione islamica. Il 2 luglio il tribunale di Dar El Beida, vicino ad Algeri, ha confermato la condanna nei confronti di Sansal, una decisione che in Francia riaccende il dibattito, tra la richiesta di grazia invocata al presidente algerino dal premier François Bayrou e gli attacchi del Rassemblement National che invita Emmanuel Macron ad agire. Abbiamo incontrato Khadra a Taormina, dove ha presentato il suo ultimo romanzo “I virtuosi”: ci ha raccontato il suo punto di vista sull’affaire Sansal e le sue speranze sul Medio Oriente che brucia. Lei ha incontrato il presidente Tebboune e ha chiesto la liberazione del suo collega Sansal. Cosa si poteva fare di più? Innanzitutto, la Francia ha fatto di tutto per tenere Sansal in prigione. In che modo? Non ha rispettato l'Algeria, e mi è sembrato che i francesi stessero cercando di ordinare agli algerini di liberare Sansal. Non è così che si ottiene la liberazione di un proprio cittadino. Quando si vuole liberare qualcuno, occorre mostrare un minimo di umiltà. Occorre essere diplomatici. Ma questa arroganza francese non fa che sprofondare Sansal nel pantano in cui si trova. Personalmente, ho chiesto al presidente della Repubblica algerina, quando mi ha incontrato, di liberare quest'uomo. Di liberarlo perché è malato, in primis. I francesi non hanno capito ancora che l'Algeria è un Paese libero e che ha un proprio sistema giudiziario e non fanno che peggiorare le cose. Ma lasciando da parte le colpe francesi, l’Algeria è in piena deriva autoritaria e sembra utilizzare il patriottismo per esacerbare la repressione. Il punto è che la giustizia algerina può essere storpia, ma resta comunque la giustizia di un Paese indipendente. E non spetta ai francesi prendere le decisioni degli algerini. Quindi per lei alla base della mancata liberazione di Sansal e dell’intero affaire c’è l’atteggiamento “colonialista” della Francia? Sì, credo che non abbiano preso questo atteggiamento. Non parlo del popolo francese, ma di figure politiche che non hanno abbastanza credibilità, che non hanno competenze evidenti e che cercano con tutti i mezzi di rimanere al potere creando problemi. Oggi, quando ascoltiamo i politici francesi, abbiamo la sensazione che l'Algeria sia un problema del popolo francese. Ma è falso. L'Algeria non è affatto un problema della Francia. La Francia ha abbastanza problemi politici. E poiché non riesce a trovare una soluzione, trova dei capri espiatori. Ma non può andare avanti così, non può durare. Lei si è trasferito in Francia nel 2001 e il Medio Oriente è sempre stato al centro delle sue opere, dall’Algeria, all’Iraq, passando per Tel Aviv. Si sente investito di una missione di mediatore tra Est e Ovest? Non sono uno scrittore “endemico”. Non sono qui solo per raccontare la storia dell'Algeria. Sono un essere umano che appartiene a un'epoca e cerco di comprenderla. E cerco di aiutare le persone a capirla meglio perché ho la fortuna di avere una doppia cultura, araba-berbera e occidentale, quindi so leggere tutto. So leggere russi, italiani, francesi, africani, e cerco di trasmettere agli altri ciò che la mia cultura ambivalente mi ha insegnato. Perché il problema degli occidentali, ad esempio, è che non sono molto aperti alla letteratura mondiale. Pensate di essere l'apice della letteratura, quindi di non avere bisogno di andare a leggere per scoprire un africano o uno srilankese. Ma l'africano, lo srilankese e tutti i popoli lontani hanno qualcosa da dirci. In che momento siamo del dialogo tra est e ovest? Per quanto riguarda le persone, non c'è conflitto tra i popoli. Puoi prendere un aereo, andare in Malesia, puoi andare a Dubai, puoi andare in Marocco, in Algeria, sarai ben accolto. Siamo per natura esterofili, amiamo gli stranieri. Ma sono i politici che cercano di farci credere che gli stranieri siano una minaccia. Non mi piace entrare in questo discorso perché è un discorso che non mi si addice. Sono un umanista, cerco di dimostrare che siamo capaci di vivere insieme, che siamo capaci di arricchirci a vicenda… Quindi nutre delle speranze per il Medio Oriente in pace? Nulla è possibile quando ci sono degli imbecilli a capo delle grandi potenze. Nulla è veramente possibile quando, all'improvviso, ci sono persone che vogliono diventare tiranni perché hanno la forza dalla loro parte, hanno i mezzi per fare del male, e lo esercitano. Quindi spetta al popolo esigere un minimo di moderazione dai propri leader, quelli che hanno votato. È stato il popolo a votare per queste persone. Ma dobbiamo esigere dai burocrati eletti correttezza, saggezza, impegno per il benessere del mondo e non impegno per la guerra, per la devastazione e l'infelicità. “I virtuosi” è un romanzo ambientato in un'altra epoca, tra le due guerre mondiali, ma ci parla molto in un presente di violenza, di vendetta, che è una parola chiave. Cosa significa essere virtuosi? È possibile, come il protagonista, in un mondo polarizzato cercare una terza via? La virtù è qualcosa di essenziale. Potremmo perderla di vista, ma è ancora lì. Semplicemente non la vediamo. Ci sono persone meravigliose ovunque. Ci sono persone molto generose, altruiste, che cercano di fare le cose seguendo il bene. Ed è vero, però, che quando vediamo cosa sta succedendo nel mondo, abbiamo la sensazione che l'umanità abbia perso la sua anima. Ma non è vero. Ci sono alcuni sciocchi che governano il mondo, come Donald Trump e Benjamin Netanyahu, che producono disastri. Ma questo non significa che la gente sia diventata un gregge. Se i popoli non reagiscono è perché hanno già problemi quotidiani nella vita e il vivere insieme è diventato oggi più che mai un problema. Quindi cerco di capire perché non ci si ribelli. La virtù c'è ancora e sono sicuro che tornerà alla ribalta quando le persone capiranno che il silenzio è la loro morte.

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