Il pianista iraniano Bahrami: “I regimi non si abbattono con le bombe”

“In questi giorni dovremmo renderci conto del fatto che non ci serve l'intelligenza artificiale ma quella umana. L’intelligenza umana sembra aver avuto una battuta d’arresto, quello che sta succedendo lo dimostra”. Incontriamo Ramin Bahrami durante le prove dentro il Teatro Antico di Taormina, in cui è ospite per ricevere il Taobuk Award, poche ore prima che dal Medio Oriente arrivi la notizia che per giorni ha tenuto il mondo con il fiato sospeso e gli occhi puntati sulla Casa Bianca: l'intervento degli Usa nello scontro tra Israele e Iran. Nella notte italiana gli Stati Uniti si sono uniti nei bombardamenti israeliani contro Teheran. Il pensiero del pianista di fama internazionale è al Paese dove è nato nel 1979 e da cui è emigrato 11 anni più tardi con una parte della sua famiglia. “Sono qui per lanciare dei messaggi”, parole che scandisce prima che la telecamera cominci a registrare, è una premessa e un’urgenza. I timori di un’escalation crescono di ora in ora, quali sono i suoi pensieri in questo momento? Purtroppo non arrivano notizie dall’Iran, le comunicazioni sono complicate. È un momento drammatico e io vorrei supplicare, prima che da artista, da padre, da essere umano, i politici mondiali, a fermare questa barbarie, questa inciviltà, perché amo sia il mio popolo, che è sotto le bombe, sia quello israeliano. Un’estensione del conflitto con l’intervento Usa la preoccupa? Le bombe non hanno mai prodotto pace, logica e cultura. Finiamola con questi attacchi arroganti, barbari e costruiamo ponti di speranza, di pace e un futuro per l'umanità. Lo dobbiamo ai bambini israeliani, ai bambini iraniani, ai bambini del mondo. Con che spirito riceve questo premio? Avrei voluto ricevere un premio così importante in un momento migliore per il mondo. Sicuramente accetto questo premio da un uomo che ama la libertà e la bellezza. Lei lasciò l’Iran perché suo padre dopo l’arrivo al potere degli ayatollah fu imprigionato, morì in carcere nel 1991. Cosa risponde a quella parte dell'Occidente che pensa che lo scontro con l’Iran possa portare al regime change e alla caduta di un regime repressivo e liberticida? I regimi non sono mai caduti con le bombe. Al contrario. In una casa che sta bruciando tu chiami i pompieri per spegnere il fuoco, non ci metti altra benzina. Questi due popoli si amano da millenni, sono due tra le civiltà più alte dell'umanità, devono tornare a volersi bene. L'impressione è che però il Medio Oriente bruci e non smetta di farlo, anche prima dell'attacco israeliano all'Iran. Sappiamo quello che sta succedendo sul fronte Gaza, lei ha speranza guardando alla situazione regionale più ampia? Quello che sta succedendo a Gaza è gravissimo: il 7 ottobre ha scatenato questo momento tremendo, perché non si tratta di una vendetta e basta, si tratta di uno sterminio di un popolo e questo naturalmente non aiuta la regione e il mondo, non aiuta il nostro futuro nel pianeta. Permettiamo a questa umanità che ci ha dato Bach, Leonardo da Vinci, Michelangelo di continuare a creare bellezza. La musica è per lei un rifugio, le piace questa parola? La musica è un rifugio da quando sono nato, perché io sono figlio di una guerra, quella tra Iran e Iraq. So che le guerre non fanno miracoli, distruggono, creano ansia nelle persone, creano un futuro incerto, creano dei distacchi tra un mondo sereno e tra un mondo infelice e questo non lo possiamo più permettere. Il giorno che non ci sarà un bambino che muore sotto le bombe o di fame, allora saremo esseri umani con la U maiuscola. Recuperiamo la nostra umanità! Cos'è per lei il confine che è il tema di questo festival? Il confine esiste solo per la politica. Nella musica che faccio io, quella di Johann Sebastian Bach, i confini non sono mai esistiti. Questo non piace soltanto alla politica, che crea confini geografici, nelle menti. Nell’arte i confini non sono mai esistiti.

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