Perché la sicurezza energetica globale dipende dallo Stretto di Hormuz

La guerra Israele-Iran infiamma il Medio Oriente e in campo geopolitico ed economico uno dei teatri di maggior attenzione su cui si concentra lo sguardo di analisti, decisori e operatori di mercato è lo Stretto di Hormuz, l’arteria d’acqua che separa il Golfo Persico dal Mar Arabico e dall’Oceano Indiano. Lo stretto, lungo 60 km e largo 30, è situato tra Iran, Emirati Arabi Uniti e Oman e rappresenta una via commerciale cruciale su scala globale. In particolar modo, da Hormuz passa una grande quota del petrolio scambiato via mare su scala globale, dato che dalle sue acque transita il greggio commerciato via mare dalle tre nazioni che insistono sullo Stretto, dall’Iraq, dal Kuwait, dal Qatar e, in parte, dall’Arabia Saudita. Quanto petrolio passa da Hormuz Sebbene in leggero calo rispetto ai picchi del 2022, i flussi di petrolio greggio attraverso Hormuz nel 2024 sono stati notevoli: oltre 20 milioni di barili di petrolio ogni giorno, circa un quinto del commercio mondiale di oro nero, sono transitati per le sue acque, ragion per cui gli operatori hanno guardato con apprensione alle dinamiche regionali quando lo scoppio della guerra ha fatto temere per uno shock dei flussi. Hormuz è un collo di bottiglia decisivo per la stabilità dell’economia globale. La prospettiva che la guerra possa fermare o bloccare i commerci nello stretto preoccupa gli operatori del settore energetico: “L'impossibilità del petrolio di transitare attraverso un importante collo di bottiglia, anche temporaneamente, può causare ritardi sostanziali negli approvvigionamenti e aumentare i costi di trasporto, con un conseguente potenziale aumento dei prezzi mondiali dell'energia”, ha ricordato in un report l’U.S. Energy Information Administration . L’ipotesi più estrema, una chiusura da parte dell’Iran dello stretto in caso di amplificazione del conflitto o intervento degli Stati Uniti, è vista come lo scenario peggiore, potenzialmente in grado di destrutturare profondamente l’economia in maniera simile a quanto successo nel 2023-2024 con il blocco del Mar Rosso da parte degli attacchi degli Houthi yemeniti contro le navi cargo che vi transitavano. Altre ipotesi di destabilizzazione dei flussi petroliferi sono legate a un possibile allargamento del conflitto ai terminal petroliferi iraniani, siti principalmente nell’Isola di Khark finora risparmiata dai bombardamenti israeliani, o all’attacco diretto alle navi della Repubblica Islamica da parte dei caccia dello Stato Ebraico. Lo scenario è contraddistinto da grandi tensioni: il Financial Times ha segnalato come i traffici attraverso Hormuz siano proseguiti dall’inizio della guerra Iran-Israele, in un contesto segnato però da un repentino aumento dei prezzi. Noli in volo, insicurezza nello Stretto Da venerdì scorso, scrive il Ft,“il prezzo di un nolo per petroliera di grandi dimensioni, in grado di trasportare 2 milioni di barili di greggio dal Golfo alla Cina è balzato da 20mila a quasi 48mila dollari”, interiorizzando un corposo premio al rischio. Ad oggi, l’Iran non ha intrapreso mosse concrete per minacciare, potenzialmente, il blocco di Hormuz, dato che l’operazione apparirebbe estremamente onerosa da ogni punto di vista. Come scrive Luigi Toninelli di Ispi, innanzitutto “il blocco penalizzerebbe anche importanti alleati dell’Iran, come la Cina e la Russia, compromettendo i fragili equilibri diplomatici su cui Teheran oggi fa affidamento”. In secondo luogo, la Repubblica Islamica ha costruito in questi anni una delicata diplomazia volta a consolidare i rapporti con i Paesi arabi del Golfo, prima tra tutte l’Arabia Saudita, che esporta via Hormuz 5,5 milioni di barili di petrolio al giorno. Danneggiare le economie di Stati che hanno criticato l’aggressiva postura israeliana e mirano a un modus vivendi con Teheran non aiuterebbe l’Iran sul piano diplomatico. Infine, la capacità militare della Marina e dell’Aeronautica iraniane di operare e mettere in campo il blocco sono tutte da dimostrare. Questo non toglie, però, che un Iran con le spalle al muro possa, in futuro, valutare l’opzione del blocco di Hormuz o che sia la situazione di fatto, con l’espansione della guerra, a determinare una riduzione dei flussi di petrolio. Lo Stretto resta una giugulare decisiva per il commercio, uno dei tanti simboli della globalizzazione messo a repentaglio dalla rinnovata conflittualità geopolitica. Un trend che impone a operatori e decisori di pensare che non ci può più essere libero scambio senza stabilità e relazioni solide. E da cui oggigiorno appare estremamente possibile tornare indietro.

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