Luciano Floridi: "Sull’AI l’Europa ha grandi opportunità"

C’è la paura per quello che sta accadendo negli Stati Uniti di Donald Trump, certo. Ma nello sguardo di Luciano Floridi su quello che sta accadendo nel mondo c’è anche un’intuizione che non ti aspetti: l’Unione Europea ha tutte le carte in regola per vincere la partita dell’intelligenza artificiale. Abbiamo incontrato a Milano il direttore del Digital Ethics Center di Yale e presidente della Fondazione Leonardo. Inevitabile partire dalla situazione nel mondo accademico a stelle e strisce. Professore come vive, da professore italiano, questa fase in cui lo straniero viene visto come un nemico? È un’esperienza meravigliosa da un punto di vista intellettuale e accademico. Inaspettata per quanto riguarda la politica e il genere di censura alla quale gli Stati Uniti oggi sono soggetti. Non è una cosa nuova se pensiamo al maccartismo. Già in passato gli Stati Uniti sono stati già soggetti a operazioni brutali di disinformazione da un lato e censura dall'altro. Oggi sorprende ancora di più perché in un momento in cui avremo bisogno di maggiore collaborazione, andare a minare le fondamenta intellettuali di una grande nazione sembra veramente disastroso. Ma c’è un’altra cosa che mi preoccupa. Cosa? Il problema non è soltanto il clima effettivo che stiamo vivendo, ma anche la paura del possibile. Come si suol dire, è bello vivere in un paese in cui se bussano alla porta, all'alba, è il lattaio e non la pulizia. Ecco, oggi a bussare negli Usa non è più il lattaio. Di recente il New Yorker ha segnalato questa tendenza: gli esperti sono diventati i nuovi nemici. C’è un presidente Usa che nega la crisi climatica nonostante le evidenze scientifiche. C’è un ministro della Salute contrario ai vaccini. Che spiegazioni si dà? Se guardiamo la storia della conoscenza è sempre andata in maniera molto diversa da quello che noi ci aspettavamo negli ultimi tempi. Ricordatevi Socrate: ad Atene l'hanno fatto fuori. A Galileo non è andata bene. Cartesio aveva paura dell'inquisizione. E il nazismo, quando arriva, fa la fortuna degli Stati Uniti, perché tutti gli scienziati ebrei emigrano. Allora, è giusto guardare alla storia come una lotta costante affinché il sapere abbia la meglio. Ma basta un momento storico in cui si abbassa la guardia, basta distrarsi un attimo che il giardino diventa una giungla. Senta, sull'intelligenza artificiale negli Stati Uniti la politica spinge verso la deregolamentazione, in Europa assistiamo invece a un continente che è sempre stato quello delle regole, che però adesso cerca di aprirsi adesso anche al business. Che fase stiamo vivendo della rivoluzione delle AI? In realtà, in termini di quantità di regolamentazione ce n'è molta di più negli Stati Uniti. La regolamentazione lì viene fatta di Stato in stato ed è enorme e frammentata. Allora, la piccola media impresa - che esiste anche negli Stati Uniti - si lamenta molto del fatto che non ci sia una regolamentazione federale. Noi per fortuna ne abbiamo una più inclusiva. Nella chiacchierata su questi temi c’è sempre un certo bipolarismo: Stati Uniti contro la Cina. Ci si dimentica di tutto il resto dell'universo questo sarà forse l'elemento che determinerà chi vincerà la partita. In che senso? Se noi riuscissimo in Europa a fare tecnologia di alta qualità, come siamo in grado di fare, open source, possibilmente quindi aperta all'innovazione ma anche a norma, allora dico: io, ad esempio, da brasiliano dove vado a comprare la mia intelligenza artificiale? Negli Stati Uniti che mi costa e non so dove finiscono i dati? In Cina, dove magari non mi costa molto, ma non so dove finiscono i dati. O vengo in Europa dove so dove finiscono i dati, so quali regole vengono applicate e la qualità è altrettanto alta. È una grande opportunità per l'Europa. Tra i rischi delle AI, quale secondo lei stiamo gestendo peggio? Secondo me la forse il problema maggiore è quello della formazione e della cultura. Faccio un piccolo esempio. Oggi ci stiamo occupando del cosiddetto reskilling o upskilling, cioè del migliorare le competenze di chi comunque queste competenze o già le ha o comunque le aveva formate diversamente. Non ci stiamo occupando di tutta una generazione che adesso arriva. Per intenderci: i miei studenti a Yale non hanno mai incontrato il mondo che non sia già stato filtrato dall'intelligenza artificiale. Il ventenne di oggi ha già passato gli ultimi tre o quattro anni a scuola nelle superiori a fare i compiti con ChatGPT. Di lui, o di lei, non ci stiamo occupando abbastanza. Ci stiamo occupando soprattutto di chi è già nel sistema. Ha lanciato da poco questa piattaforma che si chiama Orbits. Di cosa si tratta allora? Orbits vuole partecipare a questa operazione di miglioramento dello Stato della cultura digitale del Paese. Lo vogliamo fare anche con formati meno banali del solito. Abbiamo già fatto un appuntamento e ce ne sarà un altro a Milano, a novembre. Ci rivolgiamo alle generazioni più giovani e alle aziende.

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