Gaza, Cecilia Strada: “Il piano folle di Israele blocca cibo a Rafah e privatizza aiuti”

Cinque camion sono entrati a Gaza per portare aiuti umanitari: ai palestinesi mancano cibo per bambini, filtri per l’acqua, coperte e tende. In realtà, come testimonia l’operatore umanitario Gennaro Giudetti che si trova ora nella Striscia, i tir avrebbero trasportato farina e nient’altro. È successo lunedì 19 maggio, a quasi tre mesi dall’inizio del blocco imposto da Israele lo scorso 2 marzo: l’Onu l’ha definita “una goccia nell’Oceano” del tutto insufficiente a provvedere ai bisogni dei due milioni di palestinesi confinati nella Striscia. Prima che Israele interrompesse la tregua con i bombardamenti, infatti, erano centinaia i tir che ogni giorno entravano a Gaza carichi di aiuti umanitari. Al momento, Tel Aviv ha avviato l’operazione militare “Carri di Gedeone”, la popolazione gazawi è spinta quasi interamente al sud della Striscia, gli ospedali al nord sono “tutti fuori servizio” – lo conferma il ministero della Sanità di Gaza – e, stando ai dati dell’Integrated Food Security Phase Classification , oltre il 93% delle bambine e dei bambini di Gaza sono a rischio critico di carestia. In altre parole, quasi tutti i bambini gazawi rischiano di morire di fame. Il paradosso è che gli aiuti sarebbero pronti a entrare in qualunque momento, ma per ora restano accalcati ai confini: uno su tutti, il valico meridionale di Rafah. A testimoniarlo, dal lato egiziano, è stata una delegazione di giornalisti, parlamentari e attivisti di ong, che domenica 18 maggio è atterrata al Cairo per accertare che verso Gaza “non passa nulla: neppure cibo e acqua”. Tra gli inviati anche l’europarlamentare dem Cecilia Strada che, appena tornata a Bruxelles, ha raccontato a Sky tg24 Insider cosa ha visto a Rafah. Onorevole, con chi ha parlato al confine tra Egitto e Palestina? In quattro giorni abbiamo incontrato moltissime persone: dai giornalisti palestinesi agli operatori umanitari del Cairo. Ma la verità è che a Rafah non si vede niente realmente, perché dalla parte egiziana il valico è chiuso, sigillato. Fa più impressione quello che si sente. Cioè? Il rumore e il boato delle bombe, che ci faceva sobbalzare ogni due minuti. Mentre gli aiuti erano bloccati fuori dalla Striscia, Israele non ha mai smesso di bombardare dentro Gaza facendo decine di morti e feriti . Gli aiuti sarebbero già pronti a entrare? Certo. Abbiamo visitato i magazzini della Mezzaluna Rossa, dove è evidente quanto sia vergognoso il blocco degli aiuti. Sono 80mila metri quadrati di materiale che la Mezzaluna Rossa sta conservando: per i volontari, si tratta anche di un grande peso economico stipare tutti questi aiuti che altrimenti sarebbero buttati. Sono lì, pronti a entrare a Gaza, ma bloccati perché Israele dal 2 marzo non concede il permesso. Quindi, quello che si sente a Rafah sono solo bombe e quello che si vede è la vergogna del Governo di Tel Aviv, sedicente democratico, che sta affamando la popolazione gazawi. Oltre che massacrarla con le bombe. Senza parlare della militarizzazione degli aiuti. Ovvero? È un’altra situazione drammatica: il governo israeliano ha progettato il piano folle di affidare la distribuzione di aiuti umanitari a privati. Si tratta di una fondazione americana, appena creata e priva di alcun tipo di background umanitario, che guadagnerà sulla distribuzione dei materiali e che fornirà aiuti distribuiti da contractors americani dentro a recinti che si possono anche chiudere. Il rischio è che questo possa diventare uno strumento per deportare i palestinesi, costretti a spostarsi in cambio di un chilo di farina. Sarebbe un altro gravissimo precedente. Che genere di aiuti sono stivati a Rafah? C’è di tutto: dalle coperte ai vaccini. In un’area sono raccolti tutti i materiali che non potevano essere portati a Gaza e che sono stati rifiutati, vergognosamente, da Israele anche quando il valico era aperto. Ma si tratta di oggetti essenziali per la sopravvivenza. Penso ai generatori, ai filtri per l’acqua, alle sedie a rotelle, alle stampelle e alle tende. Sono oggetti rifiutati da Israele perché contengono parti in metallo che potrebbero prolungare la capacità di resistenza di Hamas, ma di fatto aiuterebbero la popolazione gazawi a sopravvivere. In alcuni casi, ad esempio, sono state fatte entrare tende senza pali e i palestinesi hanno giustamente replicato: ‘A cosa ci servono?’. La situazione – lo ripeto – è vergognosa. Avete parlato anche con i giornalisti palestinesi? I giornalisti e le giornaliste palestinesi hanno pagato un prezzo molto molto caro. Ne sono stati uccisi 217 a Gaza, tra cui 27 donne, oltre 400 i feriti e 48 sono in prigione. Ma quel che mi colpisce è che tutta la popolazione sta comunque tentando di testimoniare la tragedia che vive nella Striscia. I giornalisti me lo hanno detto chiaramente: di fatto, tutti i gazawi sono diventati reporter. Chiunque abbia un telefono, ed è in grado di registrare, cerca di denunciare il massacro e documentarlo per inviare video all’esterno. La loro speranza è quella di smuovere la comunità internazionale a porre fine alla carneficina. E, per far uscire informazioni, sono loro a rischiare la propria vita visto che i giornalisti stranieri non possono entrare: ovviamente Israele non vuole testimoni indipendenti. A proposito di comunità internazionale, l’Ue sarebbe favorevole a rivedere gli accordi con Israele dopo l’inizio della nuova offensiva nella Striscia. L’Italia si è detta contraria alla proposta, ma Meloni ha parlato di “non indifferenza” nei confronti di Gaza. Come valuta la posizione di Roma e Bruxelles? La non indifferenza non basta. Meloni sta mettendo l’Italia dalla parte sbagliata della storia, su una pagina nera. Non agire, di fatto, significa essere complici di una strage che avrà conseguenze che andranno ben oltre ciò che vediamo subire alla popolazione gazawi. Stiamo lanciando un messaggio: non accettando le decisioni della comunità internazionale, noi Stato italiano ammettiamo che ci siano dei crimini di guerra che possono rimanere impuniti. Creiamo un precedente importante che ci fa perdere ogni credibilità. Con quale faccia possiamo accusare, giustamente, Putin di crimini di guerra e non condannare Netanyahu solo perché gli stessi delitti vengono commessi da un Governo che reputiamo un buon alleato? È vergognoso.

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