Rachael, fisioterapista a Gaza: "Traumi insostenibili, stravolgono le loro vite"

“Non ci sono alberi, non c'è terra, non ci sono strade a Gaza. Solo macerie e morte ovunque”. Rachael Moses è una fisioterapista inglese e volontaria della ong Medical Aid for Palestinians che per quattro settimane ha prestato soccorso all'ospedale Nasser di Khan Yunis, nella Striscia di Gaza. Proprio la struttura palestinese è stata bersaglio di recente, per l'ennesima volta, di bombardamenti da parte delle forze di difesa israeliane. Le Idf hanno preso di mira l'ospedale con l'obiettivo di colpire il giornalista palestinese Hassan Eslaih che, ricoverato da settimane nel reparto ustionati per le gravi ferite riportate in un attacco del 7 aprile scorso, era considerato un terrorista di Hamas. Oltre a Eslaih, negli attacchi ha perso la vita anche un altro paziente. Insieme a un'équipe di medici volontari della ong Medical Aid for Palestinians, Rachael ha aiutato, assistito, curato i pazienti palestinesi che hanno subito amputazioni e ustioni, accompagnandoli nel loro processo di riabilitazione motoria. Le condizioni in cui, ogni giorno, gli operatori sanitari si trovano ad operare nella regione sono sempre più gravi e insostenibili. “A Gaza non ci sono più ospedali completamente funzionanti e i reparti di riabilitazione sono stati trasferiti all'interno delle tende”, ha raccontato Rachael Moses a Sky Tg24 Insider. I sanitari sono “costretti ad assistere più persone contemporaneamente negli ambulatori e nei reparti di degenza” e “lavorano dodici ore al giorno, sei giorni alla settimana, se non di più”. I dispositivi di assistenza come sedie a rotelle, stampelle e deambulatori, utili per i pazienti che hanno subito amputazioni, sono insufficienti. Così come i medicinali, le garze, il cibo, l'acqua. Mancano i servizi igienici. La popolazione vive in tende o in “alloggi di fortuna che non sono in grado di garantire un'efficace protezione dalle temperature più rigide, e neppure dalle giornate più umide e calde”, precisa ancora la fisioterapista. Le condizioni di vita della popolazione palestinese sono “semplicemente insostenibili”. E a tutto questo si aggiungono i “continui bombardamenti, di giorno e di notte: implacabili e terribili”. Al termine della sua missione, lo scorso 17 aprile Rachael Moses è tornata nel Regno Unito. “Ciò che mi tiene sveglia la notte sono i bambini. Di questa esperienza non dimenticherò mai la loro grande speranza, la gioia che riescono a trasmettere e, purtroppo, la totale ingiustizia di questa guerra nei loro confronti”, ha raccontato. Insieme all'équipe di volontari della Medical Aid for Palestinians è partita il 20 marzo scorso per fornire assistenza all'ospedale Nasser a Khan Younis, ed è rimasta nella Striscia fino al 17 aprile. Qual è la condizione dei pazienti nella regione? Visito Gaza da diversi anni ormai, dal 2017. Ho lavorato in molti ospedali della regione e, quando sono tornata a marzo nella Striscia, credevo di essere preparata a ciò che avrei visto, sia per quanto riguarda la situazione degli ospedali sia per le condizioni dei pazienti. Ma mi sbagliavo. I pazienti all'interno dell'ospedale presentano tutte le solite condizioni che si vedono in qualsiasi ospedale in qualsiasi parte del mondo. Ma il numero di ferite, lesioni traumatiche, sfregi - soprattutto per i bambini - è davvero straziante. Nell'ospedale Nasser non c'è abbastanza spazio per l'elevato numero di persone che hanno bisogno di cure. Gli operatori sanitari utilizzano letti di fortuna in alcune aree tendate fuori dall'ospedale. Mentre i servizi ambulatoriali, come quelli di riabilitazione, sono molto intensi perché non c'è posto nell'ospedale. Qual è la prima cosa che ha visto al suo arrivo a Gaza? Nelle mie precedenti missioni a Gaza ho sempre attraversato il nord della Striscia. Questa volta, mi sono recata nel sud. C'è morte e devastazione ovunque. Tutto è distrutto, in macerie. Gli edifici che hanno resistito ai bombardamenti sono comunque molto danneggiati. La prima cosa che ho visto al mio arrivo è stata la completa devastazione intorno a me. Non ci sono alberi, non c'è terra, non ci sono strade, solo macerie ovunque. Anche l'ingresso dei veicoli è rallentato, perché ciò che resta delle strade non è sicuro. Il numero di persone che vive nelle tende o all'interno di edifici danneggiati è qualcosa che non avevo mai visto prima. Ha trascorso quasi un mese all'interno dell'ospedale Nasser. Come affronta la quotidianità il personale sanitario? Da diciotto mesi sulla Striscia ci sono continui bombardamenti. E da più di due mesi, un blocco totale degli aiuti umanitari. Nonostante ciò, ogni singolo giorno, gli operatori sanitari – che si tratti di medici, paramedici, soccorritori, infermieri, fisioterapisti, farmacisti, psicologi – vanno al lavoro. E lo fanno tutti i giorni, anche più volte al giorno. Spesso ricevono telefonate in cui viene loro comunicato che un familiare o un amico è stato ucciso. Si trovano non solo a dover gestire enormi perdite di massa e gravi incidenti, ma hanno anche, come tutta la popolazione civile, importanti questioni personali da risolvere. Ma non si lamentano mai. Cercano di contenere le emozioni, di essere positivi, di dare ai pazienti la speranza e i migliori trattamenti possibili nelle condizioni più terribili. Sono davvero persone meravigliose. Di cosa si è occupata nell'ospedale? Io sono un fisioterapista, specializzata in riabilitazione. Dal 2017 sostengo un programma di riabilitazione attraverso cui mi prendo cura di persone che presentano ferite di guerra o anche condizioni più comuni, come bambini con paralisi cerebrale o persone colpite da ictus. In questa particolare missione nella Striscia, il numero di bambini e adulti con lesioni significative, che hanno stravolto la loro vita, è assolutamente indimenticabile. Nella maggior parte dei casi si tratta di lesioni estreme, come amputazioni, fratture, ustioni, lesioni ai nervi periferici e lesioni traumatiche complesse. Quali sono le principali difficoltà che un fisioterapista o un operatore sanitario deve affrontare? Dall'ottobre 2023 circa il 20% dei fisioterapisti a Gaza sono stati uccisi e un certo numero di professionisti della riabilitazione sono stati sfollati. Quindi, ci sono prima di tutto enormi carenze dal punto di vista della forza lavoro e, poi, anche l'accesso alla professione è molto difficile. Tanti fisioterapisti vivono e lavorano negli ospedali o nelle tende, con un altissimo numero di bambini e adulti che hanno quotidianamente bisogno di riabilitazione. Si tratta di una situazione senza precedenti rispetto a qualsiasi altro posto nel mondo in cui sono stata, qualsiasi zona di guerra che ho visitato. Le persone con ferite che cambiano e stravolgono per sempre la loro vita sono oltre centomila. Oltre a essere gravemente danneggiate a causa dei bombardamenti, le strutture ospedaliere non riescono a ospitare un numero così elevato di feriti. Dove vengono curati i pazienti? A Gaza non ci sono più ospedali completamente funzionanti. Solo ventidue strutture sono parzialmente operative. I reparti di riabilitazione sono stati trasferiti all'interno delle tende o in aree separate. Molte delle attrezzature specialistiche di cui avremmo bisogno sono danneggiate o distrutte. Con i pochi dispositivi che abbiamo, noi fisioterapisti siamo costretti ad assistere più persone contemporaneamente negli ambulatori e nei reparti di degenza. In particolare, i fisioterapisti a Gaza lavorano su turni di 12 ore, sei giorni alla settimana. Spesso vivono lontano dalle famiglie, solo per assicurarsi che i pazienti possano essere visitati dopo un intervento chirurgico o al pronto soccorso per ricevere le cure di cui hanno bisogno. Nella Striscia di Gaza c'è anche una grave carenza di dispositivi di assistenza, come sedie a rotelle o deambulatori... Sì. Ci sono migliaia e migliaia di persone a Gaza che hanno bisogno di sedie a rotelle o stampelle ma, nonostante numerose agenzie umanitarie le abbiano fornite, è molto difficile farle arrivare nella Striscia. Le condizioni di vita della popolazione sono semplicemente insostenibili. Tutti sono sfollati, vivono nelle tende, non hanno accesso a cibo adeguato, nutrizione, idratazione, medicine. A tutto questo si aggiungono i continui bombardamenti, di giorno e di notte. È implacabile. È terribile. Tra le emergenze c'è anche la carestia. A proposito di questo, l'Onu ha recentemente accusato Israele di “usare la fame come arma di guerra”... La World Central Kitchen offre la maggior parte dei pasti alla popolazione di Gaza. Durante la missione nella regione, però, alcune cucine sono state costrette a chiudere a causa della mancanza di cibo e risorse. Nella Striscia c'è pochissimo cibo, se non niente. C'è forse qualche pomodoro, delle lenticchie, della verdura, un po' di riso. Ma si tratta sempre di cibo in scatola. In generale, non ci sono grandi scorte. Non riesco a immaginare come sia la situazione adesso. Sono ripartita da Gaza qualche settimana fa e già la situazione stava peggiorando. Il 92% delle donne incinte e dei bambini di età compresa tra i 6 e i 24 mesi non ricevono cibo e vivono in condizioni di malnutrizione. In quali condizioni vive la popolazione? Condizioni terribili e disumane. I residenti sono stati costretti a lasciare le loro case e ora vivono nelle tende. Si tratta prevalentemente di alloggi di fortuna, incapaci di offrire un riparo efficace nelle giornate molto fredde o quelle molto umide o calde. I bambini non hanno un'istruzione. Mancano i servizi igienici e le docce perché gli impianti sanitari sono stati distrutti. Ma l'igiene, così come l'istruzione, è un diritto umano fondamentale. Immaginate poi, in queste terribili condizioni, di essere disabili. Di essere anziani. Di avere problemi di incontinenza. Credo che la capacità di garantire salute, igiene e dignità a Gaza sia semplicemente inesistente. Come terapeuta, è stato molto difficile per me vedere tutto questo. Durante la sua missione ha visitato anche il Poliambulatorio di Solidarietà di Medical Aid for Palestinians a Deir el-Balah. Qual è la sua missione? Il Poliambulatorio a Deir el-Balah è stato creato come una sorta di centro di assistenza sanitaria primaria. Fornisce ovviamente un accesso aperto alla comunità locale, ma anche all'enorme numero di sfollati di Deir el-Balah. È come un triage in cui gli operatori chiedono ai pazienti di che cosa hanno bisogno e li affidano ai vari medici, infermieri, psicologi, ostetriche. Prima della fine del cessate il fuoco, ogni singolo giorno accedevano alla clinica dalle 400 alle 500 persone per ricevere cure primarie e riabilitazione. Oggi, ne arrivano tra le 200 e le 300, perché è molto difficile spostarsi nella regione a causa delle regole sui trasporti e sugli spostamenti. Il Poliambulatorio è una struttura straordinaria che dà davvero speranza alle persone. Come descriverebbe la sua esperienza? Mi sono sempre sentita molto privilegiata nel vivere in un Paese che garantisce sicurezza, protezione, dignità e rispetto dei diritti umani. Mi sembra quasi surreale quello che ho visto a Gaza. Tutti noi ci imbattiamo ogni giorno in terribili immagini di Gaza in rete o sui social. Ma quando le si vede dal vivo è molto, molto più tragico. È difficile capire come una popolazione resti intrappolata in una zona di guerra per un periodo di tempo così lungo, mentre la morte e la devastazione sono ovunque. Ed è incessante da 19 mesi. Mi sento onorata di aver lavorato con i medici e gli operatori sanitari di Gaza che, nonostante il grande rischio per la propria vita, ogni giorno si danno da fare per gli altri. Ma abbiamo bisogno che le persone mostrino solidarietà e sostengano chi continua a svolgere la sua vita quotidiana e il suo lavoro. E non possiamo mai smettere di parlarne, di condividere ciò che abbiamo visto e di dare loro voce. C'è un momento di questa missione che non dimenticherà mai? Ciò che mi tiene sveglia la notte sono i bambini. Metà della popolazione di Gaza è composta da bambini sotto i 18 o 16 anni che, ad oggi, hanno sperimentato solo una vita di occupazione, di oppressione. Ma nonostante questo, vivono di speranza e hanno ancora la gioia sul loro volto. Quei piccoli corpicini sopravvissuti alle bombe non sono fatti per sopportare un tale trauma. E non parlo solo delle ferite, ma anche di ciò che i loro occhi sono costretti a vedere ogni giorno. Penso che quella a Gaza, per i bambini, sia una crisi umanitaria senza precedenti. Di questa esperienza non dimenticherò mai la loro grande speranza, la gioia che riescono a trasmettere e, purtroppo, la totale ingiustizia di questa guerra nei loro confronti.

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