Se dal cielo piovono palloni e non bombe. Il sogno Mondiale della nazionale palestinese

Ci sono giorni in cui dal cielo piovono palloni da insaccare in rete, non bombe da cui fuggire. Quando tutto attorno è morte e distruzione, due colpi di testa possono, per un attimo, portare in paradiso un popolo che vive l’inferno in terra. La nazionale di calcio della Palestina ha questo compito e con la vittoria in rimonta contro l’Iraq, del 25 marzo, ha tenuto vive le speranze di qualificazione ai Mondiali 2026. Certi di essere tagliati fuori dalla rassegna iridata fino all’88’, i ragazzi del CT Ehab Abu Jazar hanno ribaltato il risultato con due reti nei minuti finali, entrambe da calcio d’angolo. Un successo storico, il primo nella terza fase del girone asiatico, a un anno di distanza da quello sul Bangladesh. "È stata una partita incredibile", dice Milad Termanini, il difensore centrale. "Fin dall’inizio abbiamo giocato bene, eppure a fine primo tempo perdevamo 1-0. Negli spogliatoi ci siamo detti che dovevamo continuare così e che le occasioni per segnare sarebbero arrivate. Siamo un gruppo affiatato e non abbiamo paura di nessuno, giocheremo a viso aperto contro tutti". Milad ci parla dal Qatar, da quest’anno gioca nell’Al-Wakrah: "Il contratto scade a giugno, non so cosa accadrà la prossima stagione". Nato e cresciuto in Svezia, è rimasto molto legato alla terra d’origine della famiglia, Gaza. "I miei nonni lasciarono la Palestina con lo scoppio della guerra del 1948, che noi chiamiamo al-nakba " racconta, "fuggirono prima in Libano e poi trovarono rifugio a Malmö, una città industriale sullo stretto dell’Øresund, davanti a Copenaghen. Alcuni miei parenti vivono ancora nella Striscia, cerchiamo di restare in contatto con loro: è la nostra patria". Il percorso di avvicinamento alla Coppa del Mondo è iniziato a metà novembre di due anni fa. La gara contro il Libano si è tenuta un mese e mezzo dopo il 7 ottobre, in cui un attacco improvviso di Hamas ai villaggi israeliani oltre il confine e a un festival musicale provocò l’uccisione di 1200 civili e militari e il rapimento di circa 250 persone. La reazione del governo di Tel Aviv ha lasciato sul terreno oltre cinquantamila vittime fra i gazawi. "È stata una recrudescenza, ma la popolazione vive in guerra da quasi ottant’anni. Tante generazioni sono state segnate a vita. Non abbiamo mai vissuto un periodo di vera pace" continua Termanini. In tempi di guerra non c’è spazio per il calcio professionistico, la nazionale è costretta a disputare le gare casalinghe ad Amman, in Giordania. I raid hanno raso al suolo la sede della Federcalcio e distrutto oltre 260 impianti sportivi. Il celebre Yarmouk Stadium, uno fra i più antichi della regione, è stato trasformato in un campo di detenzione e oggi ospita migliaia di sfollati. "Sono in nazionale da quando ho 18 anni, ora ne ho 27 e non ho mai giocato una partita nel nostro stadio. Ovunque andiamo riceviamo grande sostegno, ma un giorno vorrei disputare una partita in casa e contare sul tifo della nostra gente". Il pallone è uno dei pochi passatempi con cui i bambini palestinesi cercano di resistere agli orrori della quotidianità. Si palleggia fra i vicoli di interi quartieri ridotti in cenere, nelle piazze del mercato e davanti alle tendopoli si cerca di replicare le imprese di Milad e compagni. "Siamo come degli eroi per loro – ci confida – il calcio è uno sport con un incredibile potere di influenzare le vite delle persone. Quando vinciamo doniamo un sorriso ai più piccoli e questo è il più grande traguardo per me". Termanini ci mostra le decine di messaggi che riceve su Instagram: alcuni gli scrivono con ammirazione, commentano le sue prestazioni, gli fanno complimenti per come ha marcato l’attaccante avversario. "Questa è la mia scivolata su Son, il capitano della Corea del Sud" dice soddisfatto mentre indica la fotografia di un suo intervento in chiusura sul campione del Tottenham. I bimbi della Striscia sono protagonisti del video che la federazione ha pubblicato sui social per annunciare la lista dei convocati per le qualificazioni alla Coppa del Mondo. Con indosso la maglia rosso fuoco dei Lions of Canaan, raccolgono dalle rovine le immagini cartonate dei calciatori e le appendono all’interno di un capannone dell’Unicef. "La mia generazione non riuscirà a tornare a giocare a Gaza, speriamo in quelle future" riflette il difensore. Le statistiche del comitato olimpico palestinese parlano di oltre 560 atleti morti sotto i bombardamenti dal 7 ottobre, almeno 250 dei quali tesserati in club di football. Il dramma del conflitto non risparmia i giocatori della nazionale: quattro di loro sono nati nell’enclave, oltre al commissario tecnico, Ehab Abu Jazar. Lo raggiungiamo al telefono a Ramallah, in Cisgiordania: "Siamo una grande famiglia, io condivido con i miei ragazzi i timori per la vita del nostro popolo. Ci svegliamo ogni giorno con la paura di ricevere notizie della morte di parenti o amici. Ogni volta che le bombe cadono vicino alle loro abitazioni, siamo terrorizzati. È una sensazione terribile da sopportare". Il CT ci parla con voce fioca, il tono si abbassa sempre di più. "Il nostro difensore centrale, Mohammed Saleh è venuto a sapere che alcuni suoi cari sono rimasti uccisi, io ho perso oltre duecento persone della mia famiglia allargata". La guerra entra nello spogliatoio, il ruolo dell’allenatore è trasformare il dolore in motivazione in campo: "Stiamo provando a utilizzare la nostra visibilità per portare attenzione sulla sofferenza della Palestina" continua Jazar. "Certo che la tattica è importante, ma ai giocatori dico che lottiamo per le persone di Gaza, abbiamo la responsabilità di far sentire la loro voce e renderle felici, almeno per novanta minuti". Come la sera del successo sull’Iraq. Al gol del sorpasso, al 96’, la panchina è esplosa di gioia e il tecnico è andato ad esultare insieme a tutta la squadra, sollevando la bandierina del corner. "È stato uno dei momenti più belli della mia vita. Ho immaginato la commozione dei nostri tifosi nel mondo e in particolare a Gaza". Vincere le gare del 5 e 10 giugno contro Kuwait e Oman, che nel frattempo deve perdere punti contro la Giordania. La strada per i Mondiali 2026 in Messico, Stati Uniti e Canada è ancora ardua, ma non impossibile: sarebbe la prima partecipazione per la Palestina, che ha una federcalcio all'interno della Fifa, ma che altre Nazioni che parteciperanno al Mondiale non riconoscono affatto come Paese. "Il sogno è reale, lo coltiviamo ogni giorno", ammette Jazar. "Dirò ai giocatori che possiamo ripetere l’impresa di Amman". Perché se dal cielo pioverà un pallone, anche per Gaza si potrà tornare a sperare.

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