Quei serbi italiani che protestano al fianco degli studenti

Hanno scelto di lasciare la Serbia e venire in Italia alla fine degli anni Novanta, segnati dalla guerra fratricida della Jugoslavia in dissoluzione, dalla tirannia di una élite politica guidata dal presidente Milošević, poi accusato di crimini contro l'umanità, e dal nazionalismo sfrenato. Non hanno mai smesso di coltivare il legame con il posto in cui sono nati, trasmettendo la loro lingua, cultura, storia ai propri figli e continuando a osservare, dall’esterno, gli altalenanti sviluppi politici del proprio Paese, una democrazia imperfetta, in bilico tra Unione europea e Russia: da un lato un processo di integrazione arenato - la Serbia è candidata dal 2012 - ma mai interrotto e dall’altro le spinte che vengono da Est in nome di legami storici, culturali. Ora ritornano a casa per brevi o lunghi periodi con un solo obiettivo: sostenere le proteste degli studenti contro il sistema di potere al cui vertice c’è il presidente serbo Aleksandar Vučić, a Mosca al fianco di Putin per la Parata del Giorno della Vittoria. Una famiglia in piazza La famiglia Balković di Padova torna in Serbia ogni estate per ricongiungersi con parenti e amici, ma quest’anno ha deciso di anticipare il soggiorno per partecipare alle manifestazioni che continuano ininterrotte dal primo novembre scorso, dopo il crollo della pensilina della stazione di Novi Sad che ha portato alla morte di 16 persone, una tragedia che ha detonato il dissenso contro un establishment accusato di corruzione e malversazioni generalizzate. “Volevamo far sentire il nostro supporto e far respirare un po’ l’aria di protesta ai nostri ragazzi”, ci spiega Andjelka - in Italia si fa chiamare Angie - mentre un gruppo di studenti fischia, grida slogan davanti a un ateneo belgradese e canta la canzone “Pada Vlada”, inno dell’opposizione. Con suo marito Nemanja ha lasciato Belgrado, quando aveva 24 anni: “Era il 1999, dopo il bombardamento Nato. Eravamo giovani e avevamo tanti progetti. Volevamo semplicemente studiare all’estero, seguire i nostri sogni ed è nato poco dopo il nostro primo figlio”. Vuk, 24 anni, che studia a Lovanio, è arrivato direttamente dal Belgio. La più piccola, Elena, invece ha 18 anni e tra pochi mesi affronterà la maturità. Entrambi guardano con stupore e ammirazione i loro coetanei che ”stanno facendo la rivoluzione”. Angie e Nemanja non possono non trovare delle analogie tra il grande movimento universitario degli ultimi mesi e la loro gioventù. Raccontano ai figli di quando erano studenti e per mesi scesero in piazza: “Abbiamo fatto cadere Milošević”, ribadisce. L’impegno della famiglia Balković continua in Italia: “Organizziamo dibattiti per parlare di Serbia e di quello che sta succedendo. In questo momento è fondamentale che l’Europa e gli europei comprendano”. Il prossimo appuntamento è a Bologna il 16 maggio per un incontro dal titolo "Serbia, un Paese in mobilitazione di massa". Il Parlamento della diaspora A Strasburgo il 15 aprile scorso ad applaudire gli studenti serbi in bicicletta partiti da Novi Sad alla volta delle istituzioni europee per chiedere di essere ascoltati c’era un’altra serba d’Italia, Jelena Ivić che come Andjelka e la sua famiglia vive a Padova. “Io sono legata sia sentimentalmente sia lavorativamente al mio Paese, perché essendo agente di commercio e rappresentando un’azienda italiana torno spesso”, racconta Jelena. "Ci sono sempre state delle difficoltà, a parte la breve parentesi successiva alla caduta di Milošević che però si è conclusa tragicamente con l’assassinio del primo ministro Zoran Đinđić , ma negli ultimi 13 anni, che coincidono con l’era del Sns , di trasferta in trasferta ho assistito a un peggioramento progressivo: è un Paese che si spegne lentamente”, continua. La storia di Jelena ci ricorda che il dissenso esploso a novembre è figlio di un decennio di lotte e proteste contro il sistema Vucic, a cominciare da quelle contro il progetto dell’estrazione di litio per le conseguenze sulla salute e sull’ambiente, un progetto su cui preme l’Unione europea interessata ad avviare una partnership strategica: “Io per prima in questi anni mi sono mobilitata insieme ad altri cittadini. L’opposizione al presidente e ai suoi accoliti dura da anni. La gente, però, sembrava aver perso ogni speranza, non aveva più fiducia sul fatto che le cose potessero cambiare, finché non si sono alzati gli studenti, che ci hanno dato una nuova prospettiva. Hanno cambiato l’umore della nazione”. Jelena non si è limitata a prendere parte alle proteste a Belgrado e Strasburgo - è tornata in due occasioni negli ultimi mesi -, ma è una delle attiviste che ha dato vita al Parlamento della diaspora, un forum virtuale che mette insieme le voci dei tanti emigrati delle varie ondate per scuotere l’Europa e il mondo sulla crisi serba. Un ponte per la Serbia Se la famiglia Balković e Jelena Ivić hanno fatto dell’impegno in Italia il perno della loro azione, Dejan Atanacković, artista e scrittore che a novembre si prepara alla pubblicazione del suo romanzo in italiano con la casa editrice Bottega Errante, si è sempre diviso tra i due mondi. “Mi piace dire che da 30 anni vivo in due città: Firenze e Belgrado. Ma negli ultimi mesi posso dire di aver sentito l’esigenza di stare qui, in Serbia”. Dejan è uno degli esponenti di spicco dell’associazione Most ostaje, che lotta contro la speculazione edilizia, una battaglia profondamente politica in un Paese in cui la gestione degli appalti pubblici è sotto accusa, soprattutto dopo i fatti di Novi Sad. Da mesi passa gran parte delle sue giornate lungo il fiume Sava in una tenda che si trova in prossimità di un ponte storico che le autorità hanno deciso di demolire: “Abbiamo creato questo presidio per cercare di frenare la demolizione che sta avanzando inesorabilmente e che è la metafora concreta di quello che sta compiendo questo regime. Se oggi sono qui, è perché Belgrado per me in questo momento critico è un luogo di una importanza fondamentale, è il luogo dove tutti noi combattiamo per la difesa della nostra dignità, per la nostra identità cittadina, per la nostra identità europea. Stiamo lottando per adeguare la Serbia agli standard di valori europei e quindi per l’Europa”. A marzo Dejan durante una delle proteste è stato arrestato: “Sono rimasto contento di come l’ambasciata italiana si sia messa in moto per la mia liberazione, ma mi aspetto che possa succedere di nuovo, in qualsiasi momento”.

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