Gli altri Mahsa Amini, eroi ed eroine del Medio Oriente in lotta

“Donna, vita, libertà”. Sono le ultime parole pronunciate da una pediatra quarantanovenne a Teheran nel 1994, prima di morire avvolta dalle fiamme che aveva essa stessa appiccato nel suo ultimo estremo gesto di disobbedienza contro il regime degli ayatollah. Sebbene le autorità religiose abbiano fatto di tutto perché non restasse traccia di quell’esistenza ribelle, il suo grido di protesta continua a risuonare ed è diventato l’inno delle nuove generazioni di donne iraniane che hanno scelto di contravvenire all’obbligo dell’hijab. Il suo nome era Homa Darabi e la sua storia è raccontata in “Vita e libertà contro il fondamentalismo”, una raccolta di ritratti di eroi ed eroine contemporanei, pubblicato da Fondazione Gariwo e da Mimesis. “Li chiamiamo i ‘Giusti’, una parola antica che rimanda ai testi sacri, al concetto del ‘chi salva un uomo salva il mondo intero’ e che in questo caso va intesa come definizione di chi combatte per i diritti umani, di chi sacrifica la propria vita e lo fa per condurre delle battaglie che non porteranno dei frutti nell’immediato, ma che magari salveranno i propri figli o i propri nipoti”, spiega Cristina Giudici, giornalista e autrice del libro, insieme al collega Fabio Poletti. “Per tutte le Mahsa Jîna Amini di cui non si conoscono neanche i nomi” Giudici e Poletti hanno ricostruito attraverso un lungo lavoro di ricerca giornalistica queste vite spese per la democrazia, dal Sudan all’Oman, passando per l’Iran, l’Afghanistan e per tanti altri Paesi teocratici in cui Stato e religione coincidono. Il libro è dedicato a Mahsa Jîna Amini, assassinata dalla Polizia Morale iraniana nel 2022 per non aver indossato correttamente il velo, e a tutte le Mahsa Jîna Amini di cui non si conoscono neanche i nomi. “Molte di queste 38 storie che si dipanano dal secolo scorso non sono mai arrivate all’attenzione dell’Occidente”, sottolinea Giudici. “È così che si scopre Malcolm Bidali, il kenyota che ha avuto il coraggio di denunciare lo sfruttamento dei migranti e la perdita di tante vite umane in Qatar attraverso un blog, o Hoda Khamosh, la poetessa afghana che ha ordinato ai talebani di scarcerare le attiviste imprigionate dopo il ritorno al potere dei fondamentalisti nel 2021. Un Paese di cui non dobbiamo dimenticarci”. Morire di fondamentalismo e persecuzioni La lotta al fondamentalismo è l’orizzonte in cui si sviluppano queste esistenze. Parliamo in molti casi di persone che hanno cercato di riformare l’Islam dall’interno e che sono state uccise per apostasia. “Il focus è sull'uso distorto di questa religione. Ogni storia è pervasa dal desiderio di pace e dall’aspirazione a un’autentica libertà di culto e di scelta”. I racconti di resistenza femminile sono la trama principale, ma il Medio Oriente è ricco di esempi di uomini che in contesti autoritari e repressivi hanno fatto proprie le battaglie “femministe”, come Abdul Ali Mazari, che ha sacrificato la sua vita in Afghanistan affinché le donne non si sentissero mai inferiori. Mazari è un eroe di un’etnia perseguitata, quella degli hazara. “Gli hazara, ad esempio, sono molto liberali e i loro pilastri sono l'educazione e la parità di genere”, racconta Giudici. L’essere parte di una minoranza, che sia etnica o religiosa, è un elemento comune a molte di queste biografie. Tra i vari ritratti spicca quello di Deniz Firat, nome di battaglia della giornalista curda Leyla Yildizhan che per difendere il suo popolo si armò di una telecamera, documentò le violenze perpetrate da Iraq e Turchia e l’avanzata dell’Isis. Morì nel 2014 durante gli attacchi a colpi di mortaio contro il campo profughi di Makhmur. Dall’individuale al collettivo: dinamica della ribellione La disobbedienza può essere una scelta programmatica o una necessità. Il mondo è pieno di madri che diventano attiviste loro malgrado. Pensiamo a Habiba Al-Hinai che ha subito la repressione di una teocrazia patriarcale come l’Oman. “La sua colpa? Aver sposato un cittadino tedesco”. Al-Hinai comincia ad alzare la voce per difendere il figlio a cui viene negata la cittadinanza perché considerato straniero dalla legge omanita, e finisce col consacrarsi, una volta in esilio, alla lotta alle mutilazioni genitali femminili. Madre è anche Gohar Eshgi, la 76enne iraniana che, durante una protesta, si sfila l’hijab per denunciare gli omicidi commessi in nome della legge religiosa. Il figlio maggiore, blogger di professione, era stato torturato e ucciso per aver criticato il regime. Da un giorno all’altro una donna umile che ha passato gran parte della sua vita all’interno delle mura domestiche si può trasformare in una dissidente che scende in piazza al fianco della Generazione Z. “L’Iran - spiega Giudici - è un caso particolare per via del carattere di massa del dissenso, ma in altri contesti si è soli e la ribellione è un atto individuale che si compie sperando che qualcun altro ne sia ispirato”. Questa enciclopedia dei Giusti è un invito alla conoscenza di mondi che sono meno lontani di quanto si possa pensare. “Quello che dovrebbe farci riflettere è che continuano a brillare delle luci in luoghi che immaginiamo irrimediabilmente immersi nelle tenebre. All’interno di teocrazie, che viste dalla nostra prospettiva ci sembrano immobili, in realtà c'è tanto movimento, bruciano tante fiammelle di speranza. Sta a noi esercitare lo sguardo”.

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