Il nuovo piano europeo per i rimpatri divide l’Italia: le reazioni
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Rimpatri più veloci, grazie a procedure comunitarie che permettano di coordinare la gestione delle domande d’asilo: questo è in sintesi il contenuto e lo scopo del nuovo piano europeo per i rimpatri, presentato martedì 11 marzo durante la sessione plenaria del Parlamento europeo riunito a Strasburgo
Martedì 11 marzo, in occasione della sessione plenaria del Parlamento europeo, è stato annunciato il nuovo piano europeo per i rimpatri. A presentarlo è stato Magnus Brunner, commissario europeo per gli Affari interni e la migrazione: “C’è un settore importante della politica migratoria che ancora non è stato fissato, cioè le norme di rimpatrio dei cittadini di Paesi terzi senza il diritto di restare nell’Ue”. Il nuovo regolamento nasce con l’intento di colmare questa lacuna della politica migratoria, istituendo delle linee guida comuni ai Ventisette e rendendo più severe le norme attuali, per molti versi reputate non idonee.
L’obiettivo principale è quello di facilitare e velocizzare i rimpatri delle persone che non hanno il diritto di restare in Europa. Per farlo verranno introdotte alcune novità, tra cui quella che riguarda l’istituzione di un modulo comune, condiviso sul database di Schengen, che permetterà a tutti gli Stati membri di accedere agli ordini di espulsione emessi negli altri Paesi. In questo modo si cercherà di limitare i trasferimenti dei migranti che, dopo essere stati giudicati non idonei in uno Stato Ue, si spostano in un altro Stato Ue per presentare una nuova domanda d’asilo. Le procedure di espulsione saranno considerate valide in tutta l’Unione, secondo il principio sottolineato anche da Brunner che “chi deve lasciare un Paese dell’Ue, deve lasciare tutta l’Ue”.
Altra novità di rilievo sarà poi la creazione dei cosiddetti “return hubs”, cioè degli hub di rimpatrio costruiti in Paesi terzi, a cui destinare i migranti che hanno già ricevuto un ordine di espulsione e che sono in attesa di essere rimpatriati. Il modello di riferimento richiama i due centri di Shëngjin e Gjadër realizzati dall’Italia in Albania, sebbene qui il governo italiano ambisse ad estendere il soggiorno anche a persone migranti ancora in attesa di presentare domanda di asilo.
I dati che raccontano i rimpatri
Se approvato dal Consiglio e dal Parlamento, il piano, in quanto regolamento, avrebbe carattere vincolante, cioè dovrebbe essere applicato nella sua interezza in tutti gli Stati membri. “Un nuovo ordine europeo di rimpatrio, un sistema con regole più semplici e chiare” – così l’ha definito la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen in occasione della conferenza per i 100 giorni del suo secondo mandato. – “Saremo più severi e assertivi in caso di rischi per la sicurezza, ma ci assicureremo anche di agire nel rispetto dei nostri obblighi di diritto internazionale e dei diritti fondamentali”.
Per Bruxelles i numeri che ad oggi descrivono la situazione dei rimpatri non sarebbero accettabili. Secondo quanto si evince da dati Eurostat, solo un migrante su cinque all’incirca lascerebbe il territorio dell’Ue dopo aver ricevuto un ordine di espulsione.

In Italia il quadro è ancora più critico: su un totale di oltre 20mila ordini di espulsione emessi tra gennaio e settembre del 2024, soltanto 3mila si sono tradotti in rimpatri effettivi. Solo un migrante su sei, cioè, verrebbe effettivamente rimpatriato dopo essere stato considerato non idoneo a rimanere in Italia.

La reazione dell’Italia
Le risposte prospettate dall’Europa per far fronte al problema dividono però l’Italia. “L’impostazione di questo regolamento è sbagliata” – commenta l’eurodeputata esponente del Partito democratico Cecilia Strada, ospite a Generazione Europa su Sky Tg24 –. “Sentiamo spesso parlare von der Leyen e i suoi commissari di un approccio europeo alle migrazioni che sia ‘fermo e giusto’: in questo caso si vede bene quale sia la parte ferma, non altrettanto quella giusta”. Per la parlamentare, la proposta mancherebbe di requisiti specifici e di trasparenza. Alla via della detenzione, sarebbe auspicabile piuttosto quella che prevede la creazione di canali d’accesso sicuri e legali: “È la chiusura delle frontiere che genera gli arrivi illegali e lo strapotere dei trafficanti. Fermare le persone non solo non è possibile, ma neanche conveniente: le nostre economie necessitano di manodopera”.

Al contrario, per Carlo Fidanza, capodelegazione di Fratelli d’Italia al Parlamento europeo, il nuovo regolamento rappresenterebbe “un cambio di paradigma da accogliere con favore. L’idea che non ci sia un accesso indiscriminato al territorio europeo e che l’immigrazione debba essere controllata è banale, viene applicata in tutti i Paesi civili del mondo, tranne che in Italia e in Europa”.
Migliorare i meccanismi esistenti permetterebbe per l’esponente di Ecr di “affrontare il problema di mandare via coloro che sono ospiti sgraditi e non rispettano le nostre regole. Servono canali di cooperazione nuova, da cui far scaturire anche vie per l’immigrazione legale: il piano Mattei avviato dal governo Meloni ne è un esempio”.

