Il piano arabo per Gaza respinto da Usa e Israele. Ma Washington parla con Hamas

Il piano arabo per ricostruire Gaza è realtà, ma da Israele e dalla Casa Bianca è stato accolto con notevole freddezza. Il risultato del summit emergenziale del Cairo della Lega Araba tenutosi nella giornata di martedì 4 marzo e su cui è passata unitariamente la linea egiziana non è però da sottovalutare, se si considera il fatto che proprio a valle della pubblicazione del piano l’amministrazione americana di Donald Trump ha fatto filtrare la notizia dei colloqui diretti con Hamas per la liberazione degli ostaggi israeliani ancora detenuti a Gaza. Una forma di distacco, per quanto velato, dal massimalismo di Benjamin Netanyahu? Ancora presto per dirlo. Ma inevitabilmente la proposta promossa dal presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi e appoggiata dai leader arabi ha rimesso in campo politica e diplomazia. Cosa prevede il piano arabo Presentato dall’Egitto e sostenuto dal Qatar, che assieme al Cairo guida la mediazione tra Israele e Hamas a Gaza, il piano della Lega Araba si articola in tre punti. Innanzitutto, si prevede una fase iniziale per Gaza di risoluzione dei problemi più urgenti causati da sedici mesi di bombardamenti israeliani: il piano prevede infatti una fase di sei mesi necessaria per la rimozione delle macerie, la bonifica degli ordigni inesplosi e la fornitura di alloggi temporanei per la popolazione sfollata. In secondo luogo, il progetto arabo prevede una fase provvisoria della durata prevista di quattro o cinque anni di effettiva ricostruzione della Striscia. Il costo del piano è stimato in 53 miliardi di dollari, da raccogliere col contributo degli Stati del Golfo e con una serie di donazioni volontarie degli altri membri della Lega Araba. Il progetto prevede la ricostruzione delle infrastrutture necessarie alla sopravvivenza di Gaza, dalla rete idrica agli ospedali, e la realizzazione di un nuovo porto e un nuovo aeroporto internazionale. In parallelo, sarebbero forniti 400mila alloggi per ospitare i circa 2 milioni di abitanti di Gaza. In questa fase, un comitato di tecnocrati palestinesi governerebbe la Striscia, senza un ruolo diretto per Hamas, e si aprirebbe la strada al terzo e ultimo punto del progetto, la fase post-ricostruzione. Dopo la ricostruzione, infatti, la Lega Araba prevede di affidare il governo di Gaza all’Autorità Nazionale Palestinese e aprire la strada al riconoscimento definitivo della soluzione a due Stati in Terrasanta. Il rifiuto di Trump e Netanyahu Il piano mira tanto a depotenziare le proposte del presidente americano, che il 5 febbraio ha prospettato l’idea di trasferire in altri Paesi i palestinesi di Gaza e di ricostruire la Striscia come una “Riviera del Medio Oriente”, quanto a rispondere al continuo tentativo di Netanyahu di eludere il rispetto del cessate il fuoco di gennaio da parte di Israele, aprendo a una presenza pressoché permanente delle truppe di Tel Aviv nella Striscia e chiudendo completamente qualsiasi prospettiva per una soluzione a due Stati. Gideon Sa’ar, ministro degli Esteri del governo Netanyahu, ha detto che "con l'idea del Presidente Trump, c'è un'opportunità per i cittadini di Gaza di avere libera scelta basata sul loro libero arbitrio che deve essere incoraggiata", motivando il rifiuto di un piano che a suo avviso "non affronta la realtà della situazione successiva al 7 ottobre 2023". Elusiva, invece, la risposta americana. Brian Hughes, portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, ha dichiarato che il piano arabo "non affronta la realtà che Gaza è attualmente inabitabile e che i residenti non possono vivere in modo umano in un territorio ricoperto di macerie e ordigni inesplosi", anche se la prima fase della proposta araba prevede proprio la risoluzione di questo problema. Israele e Usa restano ancorati alla prospettiva di una Gaza “libera da Hamas”, ha aggiunto Huges. Di recente, l’inviato speciale americano Steve Witkoff ha proposto una modifica degli accordi di cessate il fuoco di gennaio e, dunque, anche ogni prospettiva più a lungo periodo sembra difficile da discutere. Gli Usa trattano con Hamas Al netto del ferreo sostegno a Netanyahu, però, gli Stati Uniti non possono permettersi di chiudere le porte al mondo arabo in maniera brusca e appiattirsi sulle posizioni di Tel Aviv. Va registrato, infatti, che proprio a valle del rifiuto di Trump del piano della Lega Araba funzionari Usa hanno fatto filtrare la notizia che da due mesi Washington sta intavolando trattative dirette con Hamas per la liberazione degli ostaggi rapiti il 7 ottobre 2023. La notizia, riportata da Npr, è stata confermata mercoledì da Karoline Leavitt, portavoce della Casa Bianca, sottolineando che l'inviato speciale americano per gli affari degli ostaggi, Adam Boehler, ha parlato con Hamas. La notizia è rilevante. Da un lato, va sottolineato che 5 dei 59 ostaggi che si troverebbero ancora nella Striscia hanno la cittadinanza statunitense e gli Usa stanno pensando a come negoziare la loro liberazione senza passare necessariamente da Tel Aviv. Dall’altro, dialogando con il gruppo che controlla Gaza gli Usa mostrano al mondo arabo un, per quanto minimo, smarcamento da Israele su un dossier critico che serve a difendere il ruolo di mediazione agli Usa e a non incrinare i rapporti strategici di Washington con molte potenze della regione. Dal duo Egitto-Qatar a Paesi come Arabia Saudita, Giordania, Emirati Arabi Uniti e Siria, sono molti gli Stati con cui Washington ha interesse a coltivare rapporti costruttivi. E certamente nessuna amministrazione americana è disposta a sacrificarli facilmente. Ma per Trump uscire dal vicolo cieco del ferreo sostegno a Netanyahu sarà, oggettivamente, un’impresa diplomatica. Ammesso che alla Casa Bianca possa, in futuro, emergere la volontà di farlo.

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