Gaza, la tregua è in bilico: civili a rischio fame per il blocco degli aiuti

La tregua a Gaza è in un limbo mentre l’ombra della carestia incombe sulla Striscia. La situazione in Medio Oriente è tesissima dopo che sabato si è esaurita la Fase uno degli accordi tra Israele e Hamas con la mediazione di Egitto, Qatar e Stati Uniti. Mentre i mediatori hanno iniziato a ritrovarsi al Cairo per discutere sul futuro del cessate il fuoco, tra Tel Aviv e i militanti che controllano la Striscia si rafforza il confronto a distanza. E a soffrirne sono, innanzitutto, i civili palestinesi, vittime del blocco degli aiuti umanitari deciso negli ultimi giorni da Israele. Il governo di Benjamin Netanyahu sta spingendo per cambiare le carte in tavola rispetto a quanto concordato a gennaio a Doha: l’accordo prevedeva infatti che alla prima fase della tregua, caratterizzata dal rilascio di buona parte degli ostaggi israeliani ancora prigionieri, ne sarebbe dovuta seguire una seconda incentrata principalmente sulla ricerca di accordi per il futuro di Gaza e, soprattutto, sulla graduale smobilitazione delle truppe israeliane operanti nella Striscia. Ma ora che la Fase uno è arrivata a scadenza, Israele vuole che Hamas accetti di prolungare la tregua per altre sei settimane, durante il periodo di Ramadan ora in corso e la Pasqua ebraica , e solo in seguito aprire alla seconda fase. La proposta, formulata dall’inviato speciale statunitense Steve Witkoff, prevede che nella fase due siano liberati tutti i rimanenti ostaggi ancora nelle mani di Hamas. Come prevedibile, il gruppo islamista ha rispedito al mittente la proposta e denunciato il mancato rispetto dell’intesa da parte di Tel Aviv. Intanto a Gaza vengono denunciate continue violazioni della tregua da parte dei militari israeliani: secondo lo Euro-Med Human Rights Monitor, sarebbero stati almeno 115 i civili palestinesi uccisi dall’entrata in vigore del cessate il fuoco ad oggi dai raid dello Stato Ebraico. La pace in bilico, civili nel mirino Per tutta risposta il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha ordinato il blocco degli aiuti umanitari a Gaza, giustificandolo come una ritorsione legittima per il rifiuto di Hamas di sostenere il piano Witkoff. "Hamas sta attualmente prendendo il controllo di tutte le forniture e i beni inviati alla Striscia di Gaza. Sta abusando della popolazione di Gaza che sta cercando di ricevere gli aiuti, sta sparando contro di loro e sta trasformando gli aiuti umanitari in un budget terroristico diretto contro di noi", ha affermato Netanyahu, senza fornire prove a riguardo delle sue dichiarazioni. In una fase critica per la tenuta della pace in Palestina, il blocco degli aiuti rischia di causare conseguenze gravissime per i civili di Gaza, già sottoposti a sedici mesi ininterrotti di bombardamenti. Badr Abdelatty, ministro degli Esteri egiziano profondamente coinvolto nella mediazione, ha accusato Israele di una "flagrante violazione degli accordi" e di usare "la fame come un'arma contro il popolo palestinese", mentre anche il governo dell'Arabia Saudita ha criticato "lo strumento di ricatto della punizione collettiva che viola il diritto umanitario internazionale". Non va dimenticato che proprio l’uso della fame come arma è una delle accuse per cui Netanyahu è stato colpito, nel novembre scorso, da un mandato di arresto della Corte Penale Internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità. Usa e Ue con Israele In questo contesto, nota il Times of Israel, le basi della tregua iniziano a essere più fragili anche su altri fronti, dato che “l’Idf non ha nemmeno iniziato a ritirarsi dal Corridoio di Filadelfia, cosa che dovrebbe fare questa settimana, secondo l'accordo con Hamas”, dato che “Netanyahu ha dichiarato di essere contrario al dispiegamento delle truppe lontano dalla fascia di terra al confine tra Gaza e l'Egitto, che secondo Israele viene utilizzata da Hamas come principale via di contrabbando per riarmare e ricostruire le sue forze combattenti”. Sull’atteggiamento di Netanyahu incide anche la presenza di una sostanziale copertura da parte occidentale. Da un lato, gli Usa col piano Witkoff hanno offerto una sponda alle pretese israeliane di proseguire di fatto la presenza militare nella Striscia e tramite il Dipartimento di Stato guidato da Marco Rubio hanno di recente autorizzato la vendita di armamenti per 4 miliardi di dollari a Tel Aviv. Dall’altro, l’Unione Europea ha scaricato su Hamas l’intera responsabilità della situazione L'Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza comune Kaja Kallas, filo-israeliana di ferro come la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, ha scritto che l'Ue "condanna Hamas per il rifiuto di estendere la prima fase del cessate il fuoco a Gaza", sottolineando che il blocco degli aiuti umanitari che entrano a Gaza è una "conseguente decisione di Israele", quasi a voler indicare nella mossa una risposta in qualche modo legittima. Con un cessate il fuoco che di fatto è terminato, il confronto sul campo può iniziare in qualsiasi momento. E una volta di più a farne le spese saranno i civili di Gaza, gli ostaggi e le loro famiglie, vittime di una guerra la cui conclusione appare ancora lontana.

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