Il “generale inverno” di Meloni

Per settimane la risposta è stata sempre e solo una: “wait and see”. Da venerdì sera, da quando il mondo si è ritrovato schiacciato sotto il peso dello scontro Trump/Zelensky, per l’Italia quel senso di attesa vale ancora di più. “Aspettiamo e vediamo,per capire cosa realmente succede e conseguentemente come muoversi. Perché con Trump tutto può succedere”. Spiegazione in parte vera, ma che tradisce anche un ruolo dell’Italia non proprio al centro della scena. Al momento il ricercato equilibrismo per stare con Trump, ma anche con l’Europa, ha portato ad un immobilismo che mette il nostro Paese a lato degli eventi. L’Italia aspetta, mentre Trump prende a schiaffi Zelensky Le immagini dello scontro nello Studio Ovale sconcertano anche Palazzo Chigi. Per qualche ora il dubbio sul prendere le distanze da Trump è stato forte. Ma tre ore dopo i fatti, quando tutta Europa aveva già deplorato l’accaduto, l’Italia esce con una nota con cui cerca di stare ancora nel mezzo. Non cita né Trump né Zelensky, parla del bisogno di restare unito dell’Occidente, rilancia con la proposta di un vertice tra alleati, Europa e Stati Uniti. Un modo per continuare quel difficile equilibrismo che strizza l’occhio a Trump, ma anche un tentativo per recuperare terreno dopo le iniziative francesi ed inglesi. Giorgia Meloni ha duramente criticato l’attivismo di Macron, ma è proprio col capo dell’Eliseo e il primo ministro inglese Starmer che Trump ha instaurato fino ad ora l’unico canale di dialogo con questo lato dell’Oceano. Per il nuovo inquilino della Casa Bianca il Regno Unito è un punto di riferimento per le questioni militari, la Francia, in questa fase, per lui equivale all’Europa. Motivo per cui dopo le critiche per il vertice di Parigi, di fronte al bis di Londra, la premier italiana non ha potuto fare altro che dirsi disponibile ad esserci. Le cose sono andate troppo avanti. Macron e Starmer sono stati alla Casa Bianca nel momento topico, I due paesi siedono nel consiglio di sicurezza dell’Onu, entrambi sono dotati di un sistema di difesa nucleare. Può piacere o non piacere, ma il peso loro specifico è diverso da quello dell’Italia. Ora l’ambizione, di fronte a quello che è anche un fallimento delle interlocuzioni inglesi e francesi, è di riproporsi come quel ponte con l’Europa, evocato son dall’arrivo di The Donald alla Casa Bianca. Ma è proprio l’incognita Trump a rendere ogni mossa incerta, con la consapevolezza di Meloni che un “rapporto speciale con l’amico americano” dovrà essere messo dietro a quello con l’Europa, che non sarà speciale, ma sicuramente indispensabile. Al netto degli slogan di Salvini, risulta difficile anche per Chigi pensare che Trump possa fare particolari concessioni al nostro Paese. E se anche fosse, sarebbe impossibile sganciarsi dall’Europa, per impegni, vincoli e debito che senza Bruxelles non potrebbero essere curati. “Era meglio con Biden” Giorgia Meloni andrà a Washington nelle prossime settimane. Cosa accadrà ora con l’Ucraina nessuno lo sa. Ma di certo non potrà esimersi dall’accodarsi a ciò che verrà deciso a livello europeo. Anche su eventuali truppe da inviare come forza di pace. Da Palazzo Chigi ripetono che una missione sarebbe potabile solo sotto l’egida dell’Onu. Ma il punto è un altro: se si decidesse di andare in forma diversa, l’Italia non potrebbe sfilarsi dal dare il proprio contributo. Ed anche qui torna in auge la capacità di incidere sulle scelte europee. Paradossalmente nel mondo dell’era Biden, Roma contava di più. L’allineamento sulle posizioni dell’ex presidente e la coincidenza totale delle stesse con quelle europee, hanno permesso a Meloni di giocare una battaglia solo politica, che l’ha portata a sognare in grande. L’idea di dover assecondare istanze e ambizioni conservatrici un po’ in tutta Europa, le turbolenze di Francia e Germania, le hanno permesso di avere un dialogo privilegiato con Ursula Von der Leyen, su temi come le migrazioni, i centri in Albania, tutte questioni di matrice più ideologica. Oggi però che con Trump è tutto cambiato, la Germania col nuovo governo si appresta a fare asse con la Francia, anch’essa con un esecutivo rinnovato, le questioni ideologiche vanno un po’ in secondo piano. Contano il peso dell’economia, la capacità militare, l’influenza globale. Elementi che fisiologicamente lasceranno un po’ più indietro l’Italia, con la stessa Ursula che non potrà mettere le istanze romane davanti a quelle francesi e tedesche, in procinto di tornare ad essere la vera bussola di riferimento dell’Europa. “A mali estremi, estremi rimedi” La primavera alle porte per la leader romana rischia di essere un prolungamento dell’inverno, perché il governo rischia di trovarsi costretto a fare tutto ciò che aveva detto non avrebbe fatto. Dalle truppe di cui abbiamo già parlatoa d un aumento del budget in difesa, che giocoforza porterà tagli altrove, per non parlare dei dazi. Il ministro Giorgetti sostiene che una battaglia a livello europeo non stride con un eventuale negoziazione bilaterale. Che è un modo un po’ furbesco per dire - a nostro avviso incautamente - che si proverà a prendere il meglio delle concessioni che otterrà Bruxelles, compensando con il meglio di ciò che l’Italia potrà strappare per i fatti suoi. Una soluzione all’italiana - commenterebbe qualcuno - ma che se anche riuscisse, porterebbe a qualche risultato di corto respiro ma non all’incremento di quel peso specifico del Paese che fa la differenza nei momenti che contano. Dando per scontato - cosa che scontata non è - che l’Europa sia in altre faccende affaccendata e decida di non reagire al doppio gioco italico. La realtà è che ora bisogna davvero scegliere da che parte stare, e senza Europa l’Italia non può stare. Ci si dovrà quindi piegare a Bruxelles - per citare uno degli slogan “cult” di Matteo Salvini - l’unico elemento di cui Meloni - probabilmente - vorrebbe davvero fare a meno. Nessuno crede che “il capitano” abbia la forza di mettersi di traverso. Probabilmente lo fermerebbero quegli stessi leghisti che al solo sentire il suo nome, sbuffano quanto Meloni. Ma sicuramente avrebbe la forza di disturbare Meloni, di metterla in difficoltà di fronte ai suoi elettori, di erodere un consenso che in due anni e passa è rimasto praticamente immutato. Ecco perché qualcuno azzarda che a mali estremi si dovrebbe nel caso rispondere con estremi rimedi. Se tra scelte internazionali e fibrillazioni di maggioranza il danno di immagine e le accuse di incoerenza si facessero insostenibili, la stessa Meloni dovrebbe staccare la spina e andare al voto anticipato. Con un nuovo messaggio, un nuovo programma, un nuovo racconto per il Paese, più in linea con il momento storico attuale. E con la possibilità di mangiarsi in un solo boccone l’intero centro destra. Azzardo estremo, se davvero le cose dovessero mettersi male. Resta da calcolare il prezzo per il paese di fronte ad una exit strategy di questo genere. Ma come molte altre volte in passato, anche in questo caso i conti si farebbero dopo.

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