Lo stop agli aiuti all’estero deciso da Trump è davvero nell’interesse Usa?

L’amministrazione Trump sospende i programmi di finanziamento alla cooperazione internazionale, e dopo l’attuale pausa di novanta giorni imposta dalla Casa Bianca non è detto quali di questi saranno ripresi. Il presidente Usa ha imposto la decisione tramite ordine esecutivo e il segretario di Stato Marco Rubio, appena entrato in carica al Dipartimento di Stato, ha messo in pausa di tutti i programmi di foreign aid rivolti alla cooperazione allo sviluppo, all’assistenza medica, alla promozione della democrazia che Washington ha promosso negli ultimi anni. Trump ha imposto la pausa perché i programmi venissero analizzati e mantenuti solo se direttamente in grado di contribuire all’interesse nazionale americano. Sono molti i Paesi e i programmi che saranno colpiti direttamente da questa sospensione. In particolare, sarà fortemente depotenziata l’attività dell’Usaid, l’agenzia statunitense per la cooperazione allo sviluppo. Saranno inoltre sospesi programmi come il President’s Emergency Plan for AIDS Relief istituito da George W. Bush nel 2003 e che contribuisce a finanziare la lotta all’Hiv in 54 Paesi, con un finanziamento annuo di 7,5 miliardi di dollari, ritenuto vitale dagli esperti per sostenere gli Stati africani nella lotta al virus. Un altro Paese dove l’assistenza americana sarà messa in stand-by è l’Afghanistan governato dai Talebani, dove gli Stati Uniti contribuivano a sostenere il fragilissimo sistema sanitario. Inoltre, saranno notevolmente colpiti i progetti in America Centrale, rivolti principalmente verso Guatemala, El Salvador e Honduras, Paesi di provenienza di una componente consistente dei migranti che provano a entrare illegalmente negli Stati Uniti. I programmi sospesi da Trump La mossa ha suscitato un ampio dibattito circa il fatto che sospendere l’assistenza internazionale sia o meno giustificato dall’interesse statunitense. Trump intende ridimensionare l’impronta multilaterale della diplomazia americana, ma a ben guardare molti dei progetti messi in pausa, se cancellati, potrebbero finire col danneggiare più che rafforzare la posizione internazionale degli Usa. Ad esempio, la fine dei programmi anti-Hiv unita al ritiro degli Usa dall’Organizzazione Mondiale della Sanità può lasciare campo libero alla Cina per presentarsi come “superpotenza umanitaria” nei confronti dei Paesi più fragili, soprattutto in un’Africa oggetto di competizione geopolitica e che appare secondaria nell’agenda di Trump. In Afghanistan le sanzioni americane e la fine della cooperazione sanitaria possono dare carburante alla narrativa dei Talebani contro l’Occidente, mentre ritirarsi dall’aiuto ai Paesi centroamericani può alimentare indirettamente la crisi migratoria che preme ai confini americani. Egitto e Israele esentati Gli Usa hanno imposto una deroga alle sospensioni solo a due programmi amministrati dal Dipartimento di Stato, ovvero l’assistenza militare a Israele e quella all’Egitto che Anthony Blinken, poco prima di lasciare Foggy Bottom, aveva approvato per un valore di 1,3 miliardi di dollari. Tel Aviv e Il Cairo saranno dunque destinatari degli armamenti finanziati dai contribuenti americani, e questo crea una distonia ed espone Washington a nuove accuse di doppio standard. Se in futuro in nome della tutela dell’interesse nazionale Washington fornirà armi e munizioni a Benjamin Netanyahu e Abd Fatah al-Sisi rifiutandosi però di fornire medicinali o cure ai giovani malati di Aids nell’Africa sub-sahariana l’immagine degli Usa potrebbe esserne profondamente danneggiata. Il caso Ucraina Un caso a parte merita, infine, la questione ucraina. Ai sensi dell’ordine esecutivo di Trump l’amministrazione provvederà a sospendere buona parte dei finanziamenti per il sostegno economico e la ricostruzione del Paese. Saranno sospesi prestiti agevolati e finamenti diretti in aiuti in campo civile verso istituzioni e società del Paese invaso dalla Russia nel 2022 ma resteranno per ora salvi gli aiuti militari amministrati non dal Dipartimento di Stato ma da programmi votati dal Congresso e strutturalmente validi. La mossa di non concedere a Kiev la stessa attenzione rivolta a Israele e Egitto è però emblematica del fatto che Trump pone l’aiuto all’Ucraina in secondo piano nelle scale di priorità. Del resto, dal 2022 a oggi tramite aiuti economici, sovvenzioni a fondo perduto, prestiti e co-finanziamenti gli Usa hanno garantito all’Ucraina circa 70 miliardi di dollari, secondo i calcoli del Financial Times. Un “Piano Marshall” il cui prosieguo è ritenuto fondamentale per abilitare la futura ricostruzione del Paese guidato da Volodymyr Zelensky. Qualora lo stop fosse confermato, per l’Ucraina sarebbe un colpo dal peso paragonabile alla sospensione degli aiuti militari: in caso di fine del conflitto dopo trattative con la Russia, Kiev si troverà chiamata a cercare vie per “vincere la pace” tramite la ricostruzione della sua economia. La scelta degli Usa di non assecondare il suo alleato in Europa orientale potrebbe compromettere questi progetti. Contribuendo a vanificare gli effetti di tre anni di aiuti al Paese invaso: un ulteriore esempio di come le scelte sovraniste di Trump sull’aiuto all’estero pur giustificate con l’interesse nazionale americano non necessariamente contribuiranno a consolidarlo.

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