Inflazione, debito e dazi: cosa (non) ha detto Trump nel suo discorso

Se un marziano avesse sentito il discorso di Trump lunedì scorso, quello che in cui ha promesso la rinascita della repubblica americana dopo anni, forse decenni, di sofferenza, l’inizio di una nuova era, l’età dell’oro, il ritorno al benessere economico dopo sofferenze inenarrabili e poi fosse andato a vedere i dati pubblicati da qualche organismo internazionale – che so – il Fondo Monetario, sul Pil americano, la disoccupazione, l’inflazione, avrebbe concluso che le statistiche erano completamente sballate e che i funzionari del Fondo andavano licenziati. Noi che marziani non siamo, e che siamo abituati alle sparate di Trump, al massimo ci chiediamo come l’opinione pubblica americana possa ormai preferire gli slogan pubblicitari a una seria comunicazione politica. Negli ultimi anni il Pil americano è cresciuto, al netto dell’inflazione, a un tasso annuo del 2,3/4%; l’inflazione è un po’ alta , ma niente di eccezionale ed è inferiore al tasso di crescita dei salari ; la disoccupazione, al 4,1%, è a livelli minimi, e dal 2021 sono stati creati nove milioni di posti di lavoro. Certo, non tutto va bene: i prezzi non sono più quelli di dieci anni fa, si costruiscono poche case e i tassi di interesse sono ancora abbastanza alti. Ma parlare di disastro economico… insomma. Milei magari poteva legittimamente parlare di rinascita, ma Trump… Ora il peso della responsabilità di portare l’America a una età dell’oro partendo da una situazione che già luccica abbastanza ricade sul nuovo eletto. Il discorso di Trump non ha fornito nuovi elementi rispetto alla sua campagna elettorale . Vediamo però quello che, in campo economico, ha enfatizzato nel discorso, cosa ha menzionato ma senza troppa enfasi e cosa ha volutamente omesso. Tra quello che ha enfatizzato, al primo posto c’è la lotta all’immigrazione clandestina. Qui effettivamente c’è stata un’inversione di tendenza negli ultimi anni. Dopo una crescita impetuosa tra il 1990 e il 2007 , il loro numero era sceso a 10,2 milioni nel 2019, per poi riprendere a salire. Inevitabile per Trump intervenire. E meglio per i cani e i gatti degli americani visto che Trump ha sostenuto, durante il dibattito con Kamala Harris, che vengono mangiati dai nuovi arrivati dall’ America latina. Quanto agli effetti economici, il blocco all’immigrazione e l’espulsione di chi non ha documenti in regola ridurranno l’offerta di lavoro con effetti inflazionistici. Al secondo posto, c’è l’ormai celebre drill, baby, drill che Trump non si è lasciato sfuggire, seguito dall’executive order che ha portato gli Stati Uniti fuori dall’Accordo di Parigi. Questa politica calmiererà i prezzi dell’energia, a spese del riscaldamento globale. Ormai, tra i primi 8 paesi per emissioni di CO2, solo uno, il Giappone, prevede l’azzeramento delle emissioni entro il 2050, come richiesto dall’Accordo di Parigi. Stiamo freschi, verrebbe da dire . Al terzo posto, ci sono i dazi. Qui Trump non ha citato i numeri che aveva fatto in campagna elettorale, anche se il giorno dopo ha sparato che ai BRICS imporrà dazi del 100%, inclusa alla povera Spagna, confusa da Trump per uno di questi. Questo avrà un effetto inflazionistico. Si vedrà poi se le voci di un’applicazione selettiva dei dazi, da negoziare caso per caso, filtrate da alcuni suoi collaboratori, sono veritiere. Cosa Trump ha accennato ma non enfatizzato? L’efficientamento della spesa pubblica è stata nominata ma Trump si è ben guardato di ripetere quanto Musk aveva promesso qualche settimana fa , anche se l’Executive Order firmato la sera stessa consente una maggiore flessibilità nel licenziamento dei dipendenti pubblici. Mi sarei aspettato una maggior enfasi sul taglio delle tasse sulle imprese, cui ha fatto solo accenni indiretti. Ma non preoccupatevi, quello ci sarà senz’altro. Il sostegno dato a Trump dal big business durante la campagna elettorale deve pur rendere qualcosa! Cosa non è stato citato? Il debito pubblico. Il debito pubblico americano sta sopra al 120% del Pil, il deficit sopra il 7%. I tagli di tasse che Trump vuole realizzare difficilmente potranno essere compensati dai maggiori dazi o da tagli di spesa. Trump ha sempre amato il debito per sua stessa ammissione. Un buon motivo per non citarlo durante il suo primo discorso da Presidente. Ma un’ulteriore espansione fiscale porterebbe a una maggiore pressione sui prezzi. Cos’altro non ha citato? L’Europa, neanche una parola per quelli che sono stati tradizionalmente i migliori alleati degli Stati Uniti. In fondo per Trump l’Europa non esiste. Esistono singoli Paesi europei da invitare di volta in volta alla corte di Washington per raggiungere accordi bilaterali vantaggiosi per gli Stati Uniti. Divide et impera. Due conclusioni dai 30 minuti del discorso di Trump. La prima riguarda l’inflazione e i tassi di interesse. Nonostante l’effetto calmieratore delle trivellazioni, nel complesso ci si può aspettare una ripresa dell’inflazione e non è un caso se, dopo l’elezione di Trump, si sia già registrato un aumento dei tassi di interesse a lungo termine che si è già esteso al resto del mondo. Seconda conclusione: l’America first, messa nei termini in cui l’ha messa Trump, vuol dire la fine del multilateralismo. Non è solo l’uscita dall’accordo di Parigi. C’è anche l’uscita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, la scelta di mandare come ambasciatore all’ONU una personalità di scarso peso e la politica tariffaria unilaterale al di fuori dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Certo questo non è ancora l’equivalente della decisione, presa più o meno un secolo fa, dagli Stati Uniti di non aderire alla Lega delle Nazioni, ma, in termini di isolazionismo, è un pessimo segnale.

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