La battaglia di Ellen per proteggere i minori dai social network

Prima ancora di essere la storia di una petizione, di una proposta di legge che viene dal basso, questa è la storia di Ellen Rose Roome. Una donna che lotta da anni per ottenere l’accesso agli account sui social media di Jools, suo figlio. Esattamente da quando questi si è tolto la vita. Era l’aprile del 2022 e Jools aveva 14 anni. Fu trovato esanime nella sua cameretta. La madre l’aveva sentito solo un paio di ore prima al telefono: aveva giocato a calcio con gli amici e stava tornando a casa contento. “Ti voglio bene”, le ultime parole. Per cercare di dare un senso a tutto questo dolore, alla voragine in cui può sprofondare un genitore che trova un figlio morto senza un perché, Ellen ha fatto di questa petizione una ragione di vita, per dare ai genitori di minorenni il diritto di poter accedere agli account dei figli, in caso di loro decesso. La convinzione di questa quarantottenne di Cheltenham è infatti che Jools possa aver preso parte a una “challenge”, una sfida online conclusasi nella maniera più drammatica possibile. Le leggi attualmente in vigore non permettono né alla famiglia e neppure alle forze di polizia di investigare. Lunedì 13 gennaio, la petizione, che chiede l’introduzione della “Jools Law”, è stata per la prima volta dibattuta alla Camera dei Comuni. “Il mio unico obiettivo è cercare di trarre qualcosa di positivo dalla perdita di Jools, non solo per me, ma anche per le famiglie che hanno già perso i loro figli e per quelle che si troveranno in questa terribile situazione in futuro”, ha spiegato la donna ai giornalisti che le chiedevano conto delle sue azioni. Un’inchiesta sulla sua morte del ragazzino stabilì che si era tolto la vita. Il medico legale all'epoca disse che era improbabile avesse agito scientemente in tal senso e che gli eventi esatti che hanno portato alla sua morte non erano chiari. I dati del suo telefono non erano stati raccolti all’epoca proprio per ostacoli legali e la madre ha speso migliaia di sterline nel tentativo di ribaltare la situazione. Invano. “Perdere un bambino in qualsiasi circostanza è orribile, ma perderlo e non capire perché... tutti nella sua vita pensavano che fosse un bambino normale e felice”, ha commentato davanti ai giornalisti con un amaro e al tempo stesso molto dolce sorriso sul viso. Alcune aziende hanno spiegato alla famiglia di Jools che non possono rilasciare i dati per questioni di privacy, temendo che altre persone possano essere identificate nei messaggi, ma la signora Roome ha fatto notare che questi nomi potrebbero semplicemente essere oscurati. Il dibattito intorno a questi temi è molto forte non solo nel Regno Unito. L'Australia ha recentemente vietato i social media ai minori di 16 anni e migliaia di genitori in tutto il Regno Unito si stanno battendo per vietare gli smartphone ai bambini. “Nei casi tragici in cui la morte di un bambino è legata ai social media, la legge sulla sicurezza online autorizza i medici legali ad accedere a un numero superiore di dati dalle piattaforme”, ha dichiarato un portavoce del Dipartimento per la Scienza, l'Innovazione e la Tecnologia che ha ricordato anche come queste misure siano state “recentemente rafforzate per garantire che le informazioni possano essere conservate dopo la morte di un bambino per aiutare le famiglie in lutto a ottenere le risposte di cui hanno bisogno”. Secondo Roome, però, queste misure non sono ancora sufficienti. La sua battaglia continua: “Ci sono moltissimi genitori là fuori – ha spiegato - che si trovano nella stessa situazione e che vogliono delle risposte”.

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