Israele ora punta gli Houthi, ma ha bisogno di alleati per sconfiggerli

Nelle ultime settimane Israele ha rafforzato la sua proiezione militare in Medio Oriente consolidando gli attacchi contro un nuovo rivale, le milizie yemenite degli Houthi, colpiti a più riprese nella seconda metà di dicembre in un contesto che ha visto anche il lancio di missili da parte degli alleati locali dell’Iran contro Tel Aviv e altri centri israeliani. Nelle giornate di martedì 24 e giovedì 26 dicembre sono andati in scena i più importanti attacchi israeliani, che hanno visto impiegati caccia F-16 e F-35 dell’aviazione di Tel Aviv. L’aeroporto della capitale yemenita Sana’a, che i ribelli Houthi controllano, è stato bersagliato, mentre altri obiettivi sono stati le centrali elettriche di Hezyaz e Ras Kanatib e i porti di Hodeida, Salif e Ras Kanatib. Gli obiettivi di Israele Le mosse di Tel Aviv, secondo diversi analisti, hanno l’obiettivo di tagliare le linee di comunicazione tra gli Houthi e l’Iran e di neutralizzare la minaccia missilistica dell’ultimo importante alleato di Teheran rimasto con le forze sostanzialmente integri dopo i danni inflitti da Israele a Hezbollah in Libano e la caduta del regime siriano di Bashar al-Assad. Parimenti, Israele intende sostenere la coalizione internazionale guidata da Stati Uniti e Regno Unito che a gennaio ha iniziato a bombardare gli Houthi per rispondere ai loro attacchi al traffico navale passante per il Mar Rosso, lanciati dopo lo scoppio della guerra a Gaza nell’ottobre 2023. Finora, l’operazione Posiedon Archer ha contribuito a ridurre l’assertività degli Houthi nell’attacco al naviglio mercantile dei Paesi ritenuti vicini a Israele ma non ha sostanzialmente degradato la capacità di combattimento dei miliziani sciiti. Forti di una tregua nella guerra civile con il governo centrale yemenita sviluppatasi negli ultimi diciotto mesi sulla scia della distensione tra Iran e Arabia Saudita e arroccati nelle loro roccaforti montane, gli Houthi sono riusciti a occultare buona parte delle proprie forze. I “Partigiani di Dio” , come sono soliti farsi chiamare i membri del gruppo comunemente noti col nome del primo leader Husayn Badr al-Houthi , sono stati indicati come maggior obiettivo in questa fase della crisi mediorientale dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Colpire gli Houthi, contenere l’Iran “Anche gli Houthi impareranno ciò che Hamas, Hezbollah, il regime di Assad e altri hanno imparato”, ha detto Netanyahu in un'intervista con la radio israeliana Now14. "Stiamo solo iniziando con loro", ha aggiunto il leader israeliano, sottolineando che a suo avviso “anche se ci vorrà del tempo, questa lezione sarà compresa in tutto il Medio Oriente". Netanyahu, secondo il Times of Israel, avrebbe chiesto ai vertici delle forze armate di studiare operazioni volte a decapitare la leadership del gruppo, a partire dal segretario generale Abdul Malik al-Houthi, mirando a colpire i miliziani sciiti yemeniti con il fine di lungo termine di tagliare un ulteriore tentacolo di quella che ha enfaticamente chiamato “la piovra del terrore” dell’Iran e che per Teheran è l’Asse della Resistenza. Secondo la testata israeliana, l’obiettivo di Tel Aviv è spingere perché si rafforzi l’impegno occidentale contro gli Houthi e, soprattutto, l’assertività di una rinnovata coalizione in Yemen porti i Paesi della Penisola Arabica a ripensare il loro coinvolgimento nella regione, aprendo un nuovo capitolo dopo il congelamento della guerra civile e il fiasco della coalizione a guida sauidta, che in otto anni di intervento non è riuscita a radicare Ansar Allah. L’obiettivo di coinvolgere i Paesi arabi? Molto difficile… Netanyahu, secondo il Times of Israel, spera che “Una leadership israeliana in una coalizione regionale sicura ed efficace contro gli Houthi, dopo anni di operazioni fallite e costose, consoliderebbe ulteriormente la posizione dello Stato Ebraico come leader indiscusso della coalizione regionale anti-Iran e aumenterebbe gli incentivi ad approfondire i legami con Tel Aviv”. Ma il dato politico inerente la crisi yemenita parla di prospettive diverse, con Tel Aviv che assieme a Washington e Londra ha interesse a contenere i gruppi filo-iraniani e le potenze arabe, invece, timorose di coinvolgere nuovamente le loro forze armate in Yemen, a maggior ragione al fianco di quelle armi di Israele criticate da oltre un anno in tutto il mondo arabo per i fatti di Gaza. Inoltre, il quadro geopolitico regionale è molto cambiato e anche il riavvicinamento israelo-saudita è stato messo nel cassetto per la guerra nella Striscia, mentre Riad spera in un modus vivendi con l’Iran. Netanyahu mira a veder la sua strategia avallata, dopo il cambio di amministrazione negli Usa, dal rientrante Donald Trump, il quale nel suo primo mandato ha centrato la strategia mediorientale attorno ai rapporti con Riad e Tel Aviv e il contenimento dell’Iran, facendo degli Accordi di Abramo il coronamento di questa politica. La sensazione è che una qualche forma di sistemazione della guerra di Gaza sarà necessaria per garantire effettività ai piani anti-Iran di Trump e Netanyahu, ma non c’è dubbio che tra i teatri più indiziati per offrire sorprese ci sia proprio lo Yemen. Anche se gli Houthi restano un osso duro per qualsiasi avversario e nelle loro roccaforti mirano a resistere a lungo a qualsiasi forma d’offensiva esterna, come succede ormai da un decennio.

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