Putin a tutto campo: rivendica il vantaggio in Ucraina e nega la sconfitta in Siria

Quattro ore e mezza di conferenza stampa: tanto è durato il consueto incontro di fine anno di Vladimir Putin coi giornalisti, un’occasione che il presidente russo ha sfruttato per tracciare le linee politiche del suo governo e, soprattutto, per mandare precisi messaggi ai Paesi rivali. Putin si è detto pronto al dialogo con gli Usa e il blocco occidentale, provando a presentare Mosca come più forte rispetto all’inizio della guerra in Ucraina e pronta dunque a cercare un accordo da negoziare, ovviamente, alle sue condizioni. Ucraina, Putin rivendica la superiorità militare Putin ha dichiarato che Mosca è pronta a mostrare la sua superiorità militare sul campo di battaglia agli ucraini e, soprattutto, agli occidentali. Per il capo di Stato “la Russia è diventata molto più forte militarmente negli ultimi tre anni ed è diventata un Paese veramente sovrano”. E proprio in virtù di tale vantaggio “una decisione del genere avrebbe dovuto essere presa prima". Putin non ha fatto riferimento al fatto che i missili a lungo raggio occidentali stanno colpendo il territorio russo sfidando le capacità d’intercettazione di Mosca e, piuttosto, ha vantato la presunta superiorità del suo nuovo missile a medio raggio, l’Oreshnik. Beffarda la sfida all’Occidente: "Lasciate che selezionino un obiettivo, possibilmente a Kiev, piazzate lì i loro assetti di difesa aerea e noi lo colpiremo con l'Oreshnik". Pur rivendicando la superiorità delle sue forze armate, Putin non ha potuto fare a meno di riferirsi all’omicidio del tenente generale Igor Kirillov a Mosca come al frutto di “un grave errore” dei servizi di sicurezza e ha sorvolato sulla sacca di Kursk occupata dagli ucraini ad agosto. L'apertura alle trattative Se la situazione sul campo avvantaggia la Russia in questa fase - è il ragionamento di Putin - è da questa che bisogna partire per un’eventuale trattativa diplomatica per porre fine alla guerra. “Abbiamo quasi raggiunto i nostri obiettivi”, ha rivendicato il leader del Cremlino rispondendo a una domanda della Bbc, riferendosi con ogni probabilità alla possibilità della totale occupazione del Donbass. "La politica è l'arte del compromesso", ha detto. "Abbiamo sempre detto che siamo pronti sia per i colloqui che per i compromessi", ha dichiarato. "Ciò di cui abbiamo bisogno non è un cessate il fuoco, ma una pace duratura con garanzie per la Federazione Russa", ha fatto notare il presidente. Putin ha proseguito sottolineando di esser pronto a “un negoziato con le autorità legittime dell’Ucraina”, identificando però Volodymyr Zelensky come “un capo di Stato non titolato a trattare perché il suo mandato è scaduto” e chiedendo che in Ucraina si svolgano elezioni prima dei negoziati. Tale richiesta appare sicuramente un fattore potenzialmente condizionante di qualsiasi colloquio, dato che parlando dal vertice di un sistema tutt’altro che democratico Putin sindaca sulla legittimità del leader di un Paese sotto attacco in cui mancano le condizioni securitarie minime per svolgere un’elezione. Timide aperture, invece, al presidente eletto Donald Trump: “Se ci incontreremo, avremo di che parlare", ha detto Putin in relazione alla possibilità di un confronto col tycoon che mira a far finire la guerra in Ucraina. La Siria? Per Putin non è stata una sconfitta... A guastare il momento favorevole alla Russia è intervenuta, due settimane fa, la fine del regime siriano di Bashar al-Assad, maggior alleato di Mosca in Medio Oriente. La vittoria dei ribelli e l’insediamento di un governo filo-turco a Damasco condizionano le posizioni di Mosca nel Paese e la tenuta delle sue basi, ma per Putin è scorretto definirla una sconfitta di Mosca. “L'obiettivo, quando siamo intervenuti, era combattere i gruppi terroristici in Siria”, ha detto in riferimento all’invio della forza aerea in Siria nel 2015. “Abbiamo sconfitto l’Isis”, ha rivendicato Putin, “e dunque i nostri obiettivi sono stati raggiunti”, ha aggiunto, sottolineando il “cambiamento” dei gruppi radicali anti-Assad come una dimostrazione del successo russo nel contrasto al terrorismo. Inoltre, Putin ha detto che il suo governo è pronto a dialogare con i nuovi leader siriani, ma ha ammesso di non poter garantire il mantenimento delle basi di Tartus e Latakia del Paese. Anche se il crollo del regime è stato uno smacco evidente per Mosca, ora più che mai per Putin è vitale negarlo. Anche a costo di negare il legame strategico con un Paese alleato di Mosca fin dai tempi dell’Unione Sovietica e in cui il Cremlino ha investito, sostenendo per quasi un decennio un regime letteralmente imploso in meno di due settimane.

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