Come si dichiara una carestia in una zona di guerra

Quando guerre e disastri umanitari prolungano lo stato di crisi di un territorio, uno degli effetti a lungo termine per la salute della popolazione è quello di soffrire la fame per la scarsità di beni alimentari. Ma se per il Sudan lo scorso ottobre l’Onu ha dichiarato che eravamo davanti a una delle peggiori carestie di sempre, in una crisi come quella di Gaza si parla invece di "possibilità di carestia imminente”. Come si arriva a queste definizioni e quali dati servono per poter verificare condizioni di questo tipo? “È un processo rigoroso e complesso”, spiega Teresa Caterino, EFSVL advisor presso Oxfam International. “La classificazione coinvolge esperti di vari settori – nutrizione, sicurezza alimentare, agricoltura, ma anche acqua e igiene o statistica – e richiede un consenso tecnico basato su dati precisi, quando disponibili. Ma in zone di guerra come Gaza o il Sudan, questi dati spesso non possono essere raccolti”. In Sudan quasi 12 milioni di persone sono sfollate internamente da quando è iniziato il conflitto, dove è in corso una guerra civile scoppiata il 15 aprile 2023, quando le Forze Armate Sudanesi e le Forze di Supporto Rapido hanno iniziato a combattere per il controllo del paese, in particolare nella capitale Khartoum. Nel Darfur, ad Al Jazirah e a Khartoum, i mercati sono stati attaccati, e in molte aree le ostilità hanno provocato un aumento vertiginoso dei prezzi del cibo, danni alle fattorie, ai raccolti e ai macchinari agricoli. Al momento l’Onu stima 24,8 milioni di persone che necessitano di assistenza umanitaria e “mai nella storia moderna così tante persone si trovano in una situazione di fame e carestia come in Sudan oggi”. La dichiarazione, che risale allo scorso ottobre, arriva dopo un’attenta valutazione dell’IPC, acronimo di Integrated Food Security Phase Classification, e cioè il sistema standardizzato che cerca di rispondere a queste domanda con una metodologia per distinguere l’insicurezza alimentare estrema dalla catastrofe totale. Ma come si stabilisce se una zona è sull’orlo della carestia? Quali sono gli indicatori che permettono di classificare e agire? Come sempre, la risposta è nei manuali tecnici, una vera e propria miniera di informazioni per capire come si arriva a determinare una certa statistica. Si legge infatti che il sistema dell’IPC suddivide la gravità della crisi alimentare in cinque fasi, in base a quanto osservato nei paesi. La fase 5 viene dichiarata quando almeno il 20% della popolazione è in condizioni di insicurezza alimentare catastrofiche e il 30% di bambini soffre di malnutrizione estrema, 2 persone ogni 10.000 muoiono per cause direttamente legate alla mancanza di cibo e le famiglie non hanno accesso a una quantità minima di calorie per sopravvivere. Per avere dichiarazione di carestia, insicurezza alimentare, malnutrizione e mortalità devono concorrere contemporaneamente. “La carestia non è un evento improvviso”, sottolinea Caterino. “È il culmine di una crisi sistematica. Prima crollano i mezzi di sussistenza, poi il cibo diventa scarso, e infine si registra un aumento della mortalità. Ma identificare questa progressione richiede dati che, nei contesti di guerra, sono difficili da ottenere”. Le persone che partecipano a questo processo sono tantissime e con professioni diverse. Caterino ci racconta che “Il team che analizza la sicurezza alimentare include esperti di diverse aree tecniche: nutrizione, agricoltura, salute, food security cluster, agenzie ONU e organizzazioni locali e internazionali, come Oxfam. Poi il famine review committee, formato da esperti indipendenti, analizza i dati ricevuti per verificare rigore tecnico e neutralità del processo di analisi e se esistano i presupposti per dichiarare una carestia e resta un organo globale indipendente rispetto ai team nazionali di analisi, proprio per assicurare una doppia verifica dei dati”. L'IPC non dichiara la carestia, ma fornisce le prove: una volta che l'analisi è stata confermata dal Famine Review Committee, spetta agli attori interessati a livello nazionale, comprese le autorità governative e/o la leadership nazionale delle Nazioni Unite, dichiarare una carestia sulla base dell'analisi dell'IPC. Per assicurare il rigore statistico e la precisione dei dati anche in aree molto estese, le analisi sono effettuate su diversee aree campione, che possono avere disponibilità di dati diverse. Questo è stato evidente nel caso del Sudan, dove per il campo di Zamzam, nel Darfur settentrionale, che ospita mezzo milione di sfollati interni, e affronta alcune delle condizioni più critiche è stata dichiarata carestia, mentre per i campi limitrofi, che presentavano condizioni simili ma dove l'accesso era impossibile e mancavano dati diretti, si è parlato di una probabile carestia, senza poterla classificare ufficialmente. Un altro problema è correlare le vittime di una guerra direttamente alla malnutrizione o alla fame. Nel nord di Gaza è stata dichiarata una “carestia imminente”, con una proiezione fatta con i dati disponibili. Prima del 7 ottobre 2023 l’IPC non raccoglieva dati in quel territorio, e quindi manca anche una serie storica confrontabile. Poter avere dati affidabili oggi, con gli ospedali sotto attacco e le agenzie Onu e gli operatori umanitari internazionali a cui è vietato entrare, è molto difficile. Anche senza dichiarare formalmente la carestia, a novembre un comunicato ufficiale dell’Ipc ha voluto sottolineare come la popolazione del nord sia in estremo pericolo, evidenziando l’incertezza dei dati a disposzione ma allo stesso tempo usando parole d’allerta: “Si può presumere che la fame, la malnutrizione e l'eccesso di mortalità dovuti alla malnutrizione e alle malattie stiano aumentando rapidamente in queste aree. Le soglie della carestia potrebbero essere già state superate o lo saranno nel prossimo futuro”. E con l'Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l'Occupazione costretta a sospendere la consegna di aiuti attraverso il valico di Kerem Shalom, nel sud, la situazione potrebbe aggravarsi rapidamente. È un equilibrio sottile, quello in cui si muove un ente che basa tutte le sue dichiarazioni su dati rigorosi e affidabili, perché proprio per questo è stato sviluppato nel 2004, dalla FAO insieme ad altre organizzazioni internazionali, inizialmente per affrontare le sfide alimentari in Somalia. Al momento l’IPC stima che la proporzione della popolazione totale di Gaza nelle fasi quattro e cinque dell’IPC combinate sia compresa tra il 37% e il 69%. Questi dati sono comparabili con i peggiori mai registrati nelle aree più colpite, come Sud Sudan, Yemen, la regione del Tigray in Etiopia e la Somalia, dove i picchi sono stati tra il 34% e il 61%. Nel solo nord di Gaza, il picco a marzo ha raggiunto l’80% della popolazione nelle fasi quattro e cinque dell’IPC. Oggi però, questa percentuale potrebbe essere ancora più alta. “La carestia è l’ultimo stadio di una catena di eventi”, sottolinea Caterina, “e al giorno d’oggi può essere evitata. Già in IPC fase 3 le persone hanno limitato accesso al cibo e iniziano a morire, ma si può ancora evitare il peggio agendo con prontezza. In fase 4 le famiglie devono far fronte a forti carenze alimentari importanti, le persone muoiono di fame. In fase 5 si arriva se non si fa niente per migliorare la situazione - se non lo si vuole evitare. Bisogna agire prima.” Per misurare la gravità dell’insicurezza alimentare e della malnutrizione, l’IPC utilizza indicatori come il Food Consumption Score, che valuta la qualità e la frequenza del consumo alimentare, l’Household Hunger Scale, che misura il livello di fame delle famiglie, poi l’indice di malnutrizione, che confronta i dati di peso e altezza dei bambini con gli standard globali e le strategie di sopravvivenza, osservando come le famiglie si procurano reddito e cibo. Quando i dati non bastano Una delle sfide principali dell’IPC è bilanciare la necessità di dati rigorosi con la realtà di conflitti dove questi sono scarsi o assenti. In questi casi, il sistema consente di utilizzare dati storici o inferenze. “Per Gaza, ad esempio, sappiamo che la malnutrizione era storicamente bassa, ma questo rende difficile confrontare l’attuale situazione con il passato”, afferma Caterino. “È qui che entrano in gioco parametri contestuali: quanti aiuti sono entrati? Qual è l’impatto di inondazioni o dei conflitti?”. La disponibilità di cibo nella Striscia di Gaza deve essere considerata in un contesto in cui i sistemi alimentari sono crollati. Prima del 7 ottobre 2023, Gaza era quasi autosufficiente nella produzione di verdure, pollame e pesce. Oggi, il 70% dei terreni coltivabili è stato distrutto e il 95% del bestiame bovino è morto. Secondo i dati dell’OCHA, il numero di spedizioni di aiuti che entrano nella Striscia di Gaza è attualmente inferiore rispetto a qualsiasi momento da ottobre 2023. Anche i dati forniti dal COGAT israeliano relativi alle spedizioni umanitarie e "commerciali" confermano che i livelli di spedizioni sono ai minimi dall'inizio della guerra. E se i dati non possono essere raccolti, si aspetta che arrivi davvero la catastrofe? “No, anche perché in questo modo si rende una crisi alimentare un fatto politico e la fame uno strumento di guerra”, aggiunge ancora Teresa Caterino, per cui andrebbe garantito sempre l’accesso agli aiuti e operatori umanitari, proprio facilitare la raccolta di dati, mettendo in moto un processo di aiuti anche prima che sia dichiarata la carestia.