Netanyahu al Congresso non evoca alcun piano per il dopo a Gaza
MondoStretto tra una inedita campagna elettorale americana e le pressioni internazionali al suo governo, il premier israeliano attira critiche sia negli Stati Uniti sia in Israele
Benjamin Netanyahu è sempre stato il più americano dei politici d’Israele. Il suo inglese perfetto, senza traccia di accento, retaggio di un’infanzia americana, rende impareggiabile rispetto ad altri premier israeliani la sua fine capacità retorica in pubblico.
È la quarta volta che Netanyahu parla al Congresso a Camere riunite nella sua lunga carriera alla guida del Paese, attore principale della politica israeliana degli ultimi decenni quanto presenza costante di quella americana. Eppure, questa volta, la sensazione è diversa. Il premier ha accettato un invito dei repubblicani arrivato nel mezzo di una campagna elettorale senza precedenti in America. Stretto tra le svolte politiche interne e soprattutto il tanto anticipato discorso alla nazione del presidente Joe Biden, il primo dopo il ritiro dalla corsa alla Casa Bianca, l’intervento di Netanyahu al Congresso ha fatto poco notizia nonostante la sanguinosa guerra a Gaza, nonostante la diserzione di oltre la metà dei deputati democratici, nonostante le proteste dei manifestanti pro-Palestina fuori dall’edificio. Per tanta stampa in Israele e negli Stati Uniti, Netanyahu sarebbe stato marginalizzato dagli eventi americani e isolato dalle crescenti pressioni internazionali sulla condotta del suo governo e del suo esercito a Gaza.
“È un pessimo accordo, un pessimo accordo. E vivremmo tutti meglio senza”: così nel 2015 il premier israeliano aveva usato il podio del Congresso per attaccare frontalmente Barack Obama - con il quale non andava d’accordo -, il presidente che aveva lavorato a lungo alla sigla di un’intesa internazionale con l’Iran, per arginare il programma nucleare della Repubblica islamica. Si parlò a lungo di quel discorso e a lungo ebbe un impatto sulla relazione tra Israele e l’Amministrazione Obama, ed ebbe sicuramente il merito di tenere
alta l’attenzione su quello che da sempre il primo ministro israeliano ritiene il nemico pubblico numero uno del suo Paese: l’Iran.
Nel suo discorso, mercoledì, invece, Netanyahu ha parlato poco di quello che tutti avrebbero voluto sentire: ha dato poche e non dettagliare indicazioni su un possibile piano per mettere fine alla guerra a Gaza, o sugli sforzi diplomatici in corso – deboli al momento – per assicurare un accordo sul ritorno degli ostaggi ancora nelle mani dei terroristi del gruppo palestinese Hamas.
“Il leader israeliano ha fatto 8.000 chilometri e non ha ceduto di un centimetro”, sentenzia il New York Times: ha ringraziato sia Biden sia il rivale Donald Trump per il loro sostegno a Israele – ricorda il quotidiano -, negato che “Israele stia affamando gli abitanti di Gaza”, “rifiutato le colpe per le pesanti perdite civili”, indicato l’Iran come “nemico comune”, spinto l’idea di un’alleanza regionale con il Paesi arabi che riconoscono Israele, in chiave anti-iraniana, ma nonostante abbia evocato “una nuova Gaza”, che potrebbe emergere se Hamas fosse sconfitta, un territorio “demilitarizzato e deradicalizzato” governato da un’amministrazione civile palestinese, non ha presentato alcuna visione o piano reale per il dopo. Né evocato una via per la liberazione degli ostaggi.
“Senza una visione per Gaza e scollegata dalla realtà, l’eloquenza di Netanyahu non raccoglie sostegni”, questa l’accusa del quotidiano israeliano liberal Haaretz, che rileva una differenza tra il “tono celebrativo” del premier Netanyahu e le reazioni al suo discorso sia in Israele sia negli Stati Uniti. “Netanyahu ha certo ragione quando parla delle atrocità commesse da Hamas e l’inconcepibile sostegno per il massacro nei campus americani – scrive Haaretz – Ma c’è poco peso dietro a queste parole finché il primo ministro non si assume le responsabilità per il fallimento del 7 ottobre, non ha fretta di riportare a casa gli ostaggi, si rifiuta da mesi di avanzare su un piano dettagliato e pratico per il ‘giorno dopo’ a Gaza”.
Nelle ore in cui Netanyahu si preparava al discorso al Congresso, l’esercito israeliano recuperava il corpo dell’ostaggio Maya Goren, 56 anni, rapita il 7 ottobre da Hamas. E l’ex
ministro Benny Gantz, rivale politico del premier, ricordava come molti ostaggi siano morti in prigionia a causa – questa la sua accusa – del ritardo su un possibile accordo, per il quale ritiene Netanyahu responsabile.