Già ai tempi di Benedetto XVI, quando ci fu lo scandalo di Vatileaks, il suo nome cominciò a diventare “famoso” per alcune lettere in cui accusava l'allora segretario di Stato, il cardinale Tarcisio Bertone, di favorire un clima di corruzione al di là del Tevere
Le tensioni tra Papa Francesco e l'arcivescovo Carlo Maria Viganò hanno origini lontane e quindi i fatti odierni non lasciano stupiti. Ex-nunzio negli Stati Uniti, Viganò è assurto alle cronache con la pubblicazione, nell'agosto 2018, di una lettera in cui chiedeva le dimissioni di papa Francesco, accusandolo di aver coperto il cardinale Theodore McCarrick, colpevole di aver abusato sessualmente di alcuni seminaristi. Viganò è famoso, infatti, in curia e negli ambienti cattolici per essere rigidissimo, intransigente e ben poco orientato al dialogo ma di provata rettitudine. Il Corriere della Sera ricorda un soprannome che ha accompagnato la sua carriera, ovvero lo “sterminatore di papi”.
Lo scandalo di Vatileaks
Già ai tempi di Benedetto XVI, quando ci fu lo scandalo di Vatileaks, il nome di Viganò cominciò a diventare “famoso” per alcune lettere in cui accusava l'allora segretario di Stato, il cardinale Tarcisio Bertone, di favorire un clima di corruzione al di là del Tevere che poi portò allo scandalo e al processo vaticano che coinvolse anche il Bambin Gesù. Papa Ratzinger per cercare di calmare le acque interne fu costretto a promuoverlo dalla segreteria del Governatorato alla prestigiosa nunziatura di Washington dove iniziò a raccogliere le informazioni sugli abusi dell'ex cardinale progressista McCarrick.
Una posizione polemica
Viganò durante la sua permanenza negli Stati Uniti assunse una linea di forte contrapposizione con diversi vescovi ultra liberal e, parallelamente, contestò il Papa di favorirli. In quel periodo avviò una predicazione critica, descrivendo una Chiesa sempre più lontana dalla fedeltà al Magistero e prona al potere. La pandemia, che aveva colpito il pianeta, per l'arcivescovo era come un castigo di Dio imminente.
La condanna del 2018
Nel 2018 fu condannato da un tribunale italiano a pagare a suo fratello, don Lorenzo Viganò, sacerdote disabile, un maxi-risarcimento di quasi due milioni di euro, oltre gli interessi legali e le spese processuali, per aver gestito in solitaria i proventi dei beni immobili ricevuti in eredità dal padre.