I Républicains espellono il presidente Ciotti dopo l’accordo con Le Pen. Macron propone una federazione di moderati contro l’estrema destra, mentre il partito neogollista francese è gettato nel caos
Telenovela dai risvolti drammatici fra i Républicains, con Eric Ciotti - l'uomo che ha aperto per la prima volta all'accordo con Le Pen - che viene espulso all'unanimità dai dirigenti del partito. Ciotti le ha provate tutte, non si è presentato alla riunione dell'ufficio politico che lo avrebbe destituito, ha fatto chiudere la sede per ostacolare la riunione, poi ha mandato un pubblico ufficiale a controllare la riunione, che si stava svolgendo a 500 metri di distanza, nel Museo Sociale. In serata, ospite in tv, Ciotti ha ribadito: "Il presidente sono io, i militanti sono con me". Un attacco al repubblicano che "aveva voltato le spalle in poche ore all'eredità del generale de Gaulle, di Jacques Chirac e di Nicolas Sarkozy" era arrivato in mattinata da Emmanuel Macron che, in un'attesissima conferenza stampa di oltre un'ora e mezza al Pavillon Cambon Capucines, centro congressi in stile neoclassico nel cuore di Parigi, ha rivendicato la scelta di sciogliere il Parlamento definendola "inevitabile" dopo la sconfitta alle europee, invitando i francesi ad andare alle urne "senza paura".
Caos tra i Républicains
Emozionato, il presidente francese ha proclamato di "non avere lo spirito del disfattismo" e di non voler "consegnare le chiavi del potere all'estrema destra nel 2027". Il caos tra i Republicains è deflagrato nel primo pomeriggio all'ora fissata per la riunione dei capi dei Républicains. Ciotti - già annunciato assente - in mattinata ha giocato d'anticipo, dando ordine ai dipendenti di chiudere la sede ed abbandonare gli uffici entro mezzogiorno. Una provocazione, secondo lo stato maggiore del partito, da Laurent Wauquiez a Valérie Pecresse a Xavier Bertrand. Una "misura di sicurezza", secondo Ciotti, che però poco più tardi - quando i "tenori" del partito si sono riuniti nel "Museo sociale" a 500 metri dalla sede, chiusa da un lucchetto, ha mandato un pubblico ufficiale a verificare le identità dei presenti alla riunione. I presenti all'unanimità hanno espulso Ciotti dal partito, affidandone la responsabilità ad interim alla segretaria generale Annie Genevard e al capolista alle europee, François-Xavier Bellamy. Immediata la replica di Ciotti: "Io sono e resto il presidente della nostra formazione politica, eletto dagli iscritti. La riunione di oggi è una violazione flagrante del nostro statuto, nessuna delle decisioni prese avrà conseguenze legali". Secondo alcune fonti - sui numeri dei presunti seguaci di Ciotti non ci sono notizie - sul totale dei deputati attuali dei Républicains, 61, ce ne sono 45 contrari all'alleanza con Le Pen, 15 o 16 che andrebbero con Ciotti. Intanto, ha cambiato di nuovo sponda anche Marion Maréchal, respinta ieri da Jordan Bardella in quanto vice di Eric Zemmour nel partito Reconquete.
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La nipote di Marine Le Pen ha di fatto abbandonato Zemmour invitando a votare per l'alleanza che si sta costituendo a destra fra il Rassemblement National e i Républicains. Nella gauche, prosegue il cammino verso l'intesa sulle candidature uniche nelle circoscrizioni in una sorta di nuovo Fronte Popolare sulla quasi totalità delle 577 circoscrizione. Gran parte di esse vedrà un candidato unico de La France Insoumise, i radicali di Jean-Luc Mélenchon (229), il Partito socialista 175, gli ecologisti 92 e i comunisti 50. Resta fuori Raphael Glucksmann, che ha guidato una coalizione del Ps con il suo Place Publique al terzo posto nelle europee, ma che che ha fatto emergere con forza la sua incompatibilità con La France Insoumise. Se non ci saranno evoluzioni, Place Publique si dividerà con i socialisti le circoscrizioni, considerando che, alle ultime legislative, non aveva ottenuto alcun deputato. Non parteciperà alla campagna elettorale Macron come ha garantito oggi spiegando la scelta di sciogliere il Parlamento e sostenendo di aver riunito la stampa per indicare la "rotta da mantenere e il metodo". Il presidente è tornato a difendere con forza la sua scelta di chiamare le elezioni e ha invocato un "sussulto" repubblicano per sbarrare la strada alle forze estreme in vista del 30 giugno e del 7 luglio. "Credo nella democrazia. Penso che in Europa non possiamo governare malgrado i popoli", ha detto, in questo nuovo accorato appello alla nazione dove ha ammesso di aver capito la rabbia espressa nel voto. Rivolgendosi a decine di giornalisti francesi ed internazionali, con tutta la squadra di governo al suo fianco, incluso il premier Gabriel Attal, Macron ha insistito sulla necessità di un esecutivo che "possa agire per rispondere alla rabbia, alle emergenze" dei francesi. "Se le persone hanno paura" che venga nominato un primo ministro di estrema destra - ha aggiunto evocando indirettamente una possibile coabitazione con il candidato lepenista, Jordan Bardella, dopo il voto del 7 luglio - "allora la reazione devono averla adesso!". Attraverso il voto anticipato, scommessa azzardata secondo tanti a Parigi, l'obiettivo non è in alcun modo "consegnare le chiavi del potere all'estrema destra". In questa sorta di ultimo appello alle forze vive della République, Macron ha aperto ad un patto con tutti coloro che sapranno "dire no alle estreme" con "l'obiettivo di costruire un progetto comune, sincero e utile al Paese". Un progetto che difenda "senza ambiguità i valori della repubblica", per "una Francia e un'Europa più forte", puntualizza il presidente, che mai come oggi si gioca il tutto per tutto.