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Crisi in Myanmar, nel cuore della guerra negata

Mondo
Gianluca Ales

Gianluca Ales

Il reportage di Stuart Ramsey di Sky News dall'unico ospedale d'emergenza nella giungla

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Forse non è un caso che George Orwell, il più grande inventore di distopie letterarie, abbia vissuto a lungo in Birmania, l’attuale Myanmar. Perché l’ex colonia britannica, l’unica a non essere mai entrata nel Commonwealth, ha una storia che si può riassumere in una lunga successione di lotte tra la dittatura e le rivendicazioni democratiche. E con la continua sconfitta di quanti sperano in un futuro migliore per un paese dalla bellezza leggendaria, sotto il continuo giogo di una spietata giunta militare.

La storia

La storia inizia durante Seconda guerra mondiale, ma il definitivo colpo di stato che porta i militari al potere è del 1962. Poi nell’88, a seguito della rivolta studentesca. Nel 1990 si volgono le prime elezioni democratiche che portano alla ribalta Aung San Suu Kyi, la Lady, figlia del primo presidente birmano. È una breve vittoria, perché la giunta rovescia il governo, arresta la leader e la incarcera. La Lady riceve il Nobel per la Pace nel ‘91. Scarcerata quattro anni dopo, continua la sua battaglia per la democrazia in Myanmar, come viene ribattezzato il paese. Nel 2010 si tengono nuove elezioni che però vengono boicottate per la totale mancanza dei minimi requisiti democratici, anche se il governo avvia una serie di riforme per andare incontro alle istanze dell’opposizione. Le successive consultazioni, nel 2012, confermano l’ampio consenso del partito di Aung San Suu Kyi. Poi, di nuovo, nel 2015, la vittoria della Lega Nazionale per la Democrazia.

Gli equilibri interni

La Giunta, però, continua a esercitare un grande potere, e la Lady è costretta a sostenere decisioni controverse, come per la crisi dei Rohingya. Nonostante la sua determinazione a mantenere la stabilità del paese, anche a costo di decisioni impopolari, Aung San Suu Kyi viene arrestata nel 2021 durante l’ennesimo colpo di stato della Giunta. Le successive proteste vengono represse nel sangue, il Myanmar precipita nuovamente nell’incubo orwelliano. La sanzioni internazionali, nonostante l’ampio sostegno, non impattano sugli equilibri interni e il seppur riluttante appoggio della Cina a livello diplomatico rende di fatto l’isolamento di Myanmar simile alla Corea del Nord. Duro per la popolazione, irrilevante per la leadership.

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