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La Cina avvia un piano per la Protezione dei Diritti di proprietà Intellettuale

Mondo

Gianluca Ales

Nel 14/mo piano quinquennale, il Dragone prevede una maggiore tutela e applicazione dei DPI e una svolta importante nel commercio online, dove le contraffazioni restano uno dei problemi principali

La Cina rispetterà maggiormente il copyright. Uno dei nodi nei rapporti commerciali tra il Dragone e il resto del mondo, dunque, è destinato, se non a sciogliersi, almeno a ridimensionarsi, e non è cosa da poco.  

Come di consueto, nelle comunicazioni ufficiali cinesi, la notizia non è messa in primo piano, ma un po’ nascosta tra le pieghe del burocratese. L’annuncio, però, è di quelli che possono segnare una svolta, almeno sul fronte delle tensioni commerciali.

Il Consiglio di Stato cinese ha infatti rilasciato un piano sulla protezione e sull'applicazione dei diritti di proprietà intellettuale (Dpi) durante il periodo del 14esimo piano quinquennale, quello del 2021-2025.

Una possibile svolta nella protezione del Copyright

Da quanto emerge dalla lettura del programma, Pechino si aspetta di vedere miglioramenti sensibili nella propria capacità di gestione dei Dpi entro il 2025, anno in cui i diritti di proprietà intellettuale diventeranno un potente incentivo per lo sviluppo economico e sociale di alta qualità della nazione.

Nel dettaglio, il piano elenca le seguenti attività: l’aumento della protezione dei Dpi, il miglioramento dell'efficienza della loro trasformazione in risultati tangibili, lo sviluppo ulteriore dei servizi, il miglioramento della cooperazione internazionale, la promozione e la formazione del personale in un ambiente socioculturale favorevole.

Ma la notizia si nasconde nell’ultimo capoverso: per misurare il successo degli obiettivi, il piano ha proposto otto criteri, tra cui "il numero di brevetti di alto valore posseduti per ogni 10.000 persone". Insomma, un po’ l’uovo di Colombo. Per far sì che i cinesi siano incoraggiati a registrare le loro innovazioni, dovranno registrare i brevetti. E chi non lo fa, perché – in buona sostanza – copia, non contribuirà alla crescita. Un dato più qualitativo che quantitativo, insomma. 

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Le premesse per una spinta a regolarizzare la produzione cinese insomma, ci sono e, come al solito, con un approccio pragmatico.

D’altronde la necessità di una maggiore regolamentazione è emersa anche dalle conclusioni dello studio realizzato dall’Ufficio Ue per la Proprietà Intellettuale, in cui si sottolinea come nel commercio online i prodotti contraffatti abbiano avuto una crescita esponenziale. Di pari passo con il decollo dell’online, che durante la pandemia ha visto una vera e propria esplosione.

In particolare, si legge, le vendite online sono sempre più impropriamente utilizzate per la distribuzione di prodotti falsi. Secondo i dati sui fermi di prodotti contraffatti, il 56% dei sequestri doganali alle frontiere dell'Ue riguarda il commercio elettronico.

E qui si arriva alla Cina. Considerando l'origine dei prodotti scambiati online, il Dragone è al primo posto con oltre il 75% di sequestri di prodotti contraffatti, seguita da Hong Kong, con il 5,7%, dalla Turchia, con 5,6, e Singapore al 3,3 %.

La Cina è un paese di provenienza dominante anche quando si valuta il valore dei prodotti contraffatti acquistati online, con una quota del 68%.

In particolare, sono maggiormente contraffatti i prodotti di profumeria e cosmetici, addirittura uno su tre, con il 75,3%, dei prodotti farmaceutici (71,9%) e degli occhiali da sole (71,3%), che presentano la percentuale più elevata di sequestri legati all'acquisto online.

Durante la pandemia, che ha impresso un'accelerazione nelle vendite online, in aumento del 20% nel 2020 rispetto all'anno precedente, l'e-commerce è diventato il canale principale per i prodotti medici illeciti, compresi quelli contraffatti e di qualità scadente, come i kit per tamponi e altri prodotti correlati.

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