Usa, dalla morte di George Floyd a Black Lives Matter: un mese di rabbia e proteste. VIDEO

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Tiziana Prezzo

Il razzismo e le disuguaglianze sociali condizionano ancora profondamente la società americana,  dove i neri restano la minoranza più discriminata. America Burning: lo speciale di Sky TG24 curato da Tiziana Prezzo 

Prima di finire pancia a terra in un parcheggio di Atlanta, con due colpi conficcati nella schiena,  Rayshard Brooks aveva già avuto modo, nella sua breve esistenza, di fare i conti con la polizia più di una volta. E col carcere. Che se negli Stati Uniti non è una passeggiata per nessuno, ma che  per le minoranze e per i neri in particolare lo è ancora di meno.  “Il sistema potrebbe trattarci da esseri umani, ecco… è vero, facciamo degli errori, ma ci proviamo a rimetterci in carreggiata, non siamo animali”, aveva dichiarato Brooks  in un’intervista rilasciata alla Ong Reconnect, il 20 febbraio di quest’anno: 4 mesi prima di essere ammazzato da un poliziotto dal quale stava cercando di scappare per non finire di nuovo dietro le sbarre. Era stato trovato addormentato dentro la propria macchina, ubriaco: in Georgia questo basta per essere portato in commissariato. Non è dato sapere se addosso, la sera del 12 giugno, avesse ancora il braccialetto elettronico. Si sa invece che ha avuto tutto il tempo di rendersi conto che stava morendo. Proprio come George Floyd. Proprio come lui, Rayshard era padre di una bambina piccola. E anche Floyd, in questa triste ricerca di somiglianze, era finito in carcere, per rapina, anni fa.

 

Sono storie, quelle di Rayshard e di George, molto più comuni di quello che si può pensare negli Stati Uniti. Se si fa una breve ricerca su youtube sulle canzoni legate al tema “Black Lives Matter”, nome del movimento che rivendica parità di diritti per la minoranza nera negli States, in men che non si dica anche si incappa in qualche video, anche di diversi anni addietro, in cui un poliziotto (generalmente bianco) ammazza un afroamericano.  Il razzismo esiste negli Stati Uniti, anzi, è un tratto fondante della loro storia  (la cosiddetta “linea del colore” di cui parlò l’intellettuale Edward Du Bois, autore, tra l’altro di “Negri per sempre”) e non sarà la demolizione di qualche statua a spazzarlo via. Così come è un fatto che la violenza della polizia si traduce, in America,  in un impressionante numero di morti. Stando ai dati ufficiali,  la polizia americana tra il 2013 e il 2019 ha ucciso 7663 persone: in media 1.100 l’anno. Le vittime afroamericane sono circa il triplo di quelle bianche e solo nell’1% dei casi si è arrivati all’incriminazione di un poliziotto.

Tra le conseguenze della morte di Floyd, c’è non solo una maggiore consapevolezza dell’esistenza di questi due aspetti della società americana, ma anche una più profonda e diffusa volontà a cercare di cambiare le cose. E’ la stessa minoranza nera a dire che non si sono mai visti così tanti bianchi gridare per le strade delle grandi città americane che “la vita dei neri conta”, così come non si è mai fatto così pressante il dibattito intorno alla necessità di ripensare la polizia e i finanziamenti ad essa destinati. Solo il tempo dirà quanto della straordinaria ondata emotiva scaturita dalla morte di Floyd si tradurrà in fatti concreti e duraturi. E nelle urne, considerato che il 2020 è anche l’anno delle Presidenziali.

Nel frattempo l’America, almeno quella delle coste e delle grandi città, si guarda alla specchio e non ha paura di dire che non ama quello che vede. Senza abdicare – anzi – all’amore di patria quando si inginocchia e alza un pugno al cielo invece che stare in piedi con la mano sul cuore.

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La pandemia ha sicuramente contribuito ad aprire il vaso di pandora della disuguaglianza: in proporzione alla popolazione complessiva, gli afroamericani (che costituiscono il 13% del totale) sono morti in numero nettamente superiore, e le cause vanno ricercate appunto nelle disparità economiche e sociale. Nel mese di aprile a Chicago, la città di Barack Obama, il 69% dei deceduti a causa del Covid 19 è stato afroamericano, nonostante la comunità nera rappresenti solo un terzo della popolazione della metropoli.
Nei giorni immediatamente successivi alla morte di Floyd, avvenuta a Minneapolis lo scorso 25 maggio,  hanno colpito le parole del governatore del Minnesota Tim Walz: “In una classifica che riguarda la nostra nazione siamo al secondo posto, dopo le Hawaii, come livello di felicità. Il secondo.  Ma si guarda più attentamente, tutte queste statistiche sono vere se sei bianco. Se non lo sei, siamo vicino al fondo”.

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