Urne aperte giovedì 12 dicembre dalle 7 alle 22 ora locale, i risultati definitivi arriveranno nella notte. Nei sondaggi, i conservatori sono in vantaggio ma affluenza e voto tattico potrebbero nascondere sorprese. Le tre chiavi di lettura e le incognite del voto
Il voto sulla Brexit prima, e le elezioni del 2017 poi, lo hanno insegnato: mai fidarsi dei sondaggi. E così negli ultimi giorni della terza campagna elettorale per Westminster in 5 anni – a cui va aggiunto il referendum del 2016 e le elezioni europee di pochi mesi fa – i protagonisti sono battaglieri come non mai. Una battaglia che evidenza la prima chiave di lettura di questo voto anticipato: BREXIT VS NHS.
Brexit e sistema sanitario nazionale
Cosa sarà più importante per l’elettore britannico? L’uscita dall’Unione europea, di cui Boris Johnson si è fatto campione, o il futuro del Sistema Sanitario Nazionale, mai tanto amato e mai tanto bistrattato, con foto di bambini abbandonati a se stessi in ospedale costretti a dormire per terra o su letti di fortuna ricavati da due sedie a diventare materia di campagna elettorale, e solennemente difeso da Jeremy Corbyn? Perché questa domanda nasconde la “vera” domanda: gli elettori seguiranno le tradizionali appartenenze di partito, o voteranno tirando le somme del dibattito sulla Brexit? Nel primo caso, l’ipotesi di un Parlamento spaccato è altamente probabile; nel secondo caso, il famoso e ormai famigerato “Red Wall” - 80 circoscrizioni nel nord di Galles e Inghilterra storicamente e orgogliosamente laburiste ma altrettanto fieramente brexiter – potrebbe “tradire” il proprio passato per sposare la causa dei conservatori consegnando a Johnson le chiavi di Downing Street.
Lo abbiamo visto, nel nostro on the road, sia a Wrexham in Galles che nella “Capitale della Brexit” in Inghilterra, Stoke-on-Trent. Colpite negli ultimi 40 anni dalla chiusura delle miniere e dell’industria pesante, con la working class che si sta lentamente ma inesorabilmente trasformando in una classe di working poors, persone che lavorano ma non guadagnano abbastanza da assicurarsi il cibo sulla tavola ogni giorno, terrorizzati da ospedali allo sfacelo e scuole a mezzo servizio causa il taglio dei fondi, hanno identificato nell’Unione europea la radice dei loro problemi, e nel Leave l’unica speranza.
Fattore Boris
La seconda chiave di lettura di queste elezioni è conseguente, e si può chiamare il FATTORE BORIS. Proprio grazie alla Brexit, l’attuale Primo Ministro è riuscito nella stessa operazione riuscita a Donald Trump negli Stati Uniti: presentarsi come il campione del popolo, dell’anti-establishment, “azzerando” il passato politico del suo partito. Il risultato è che elettori profondamente colpiti dalle politiche di austerity degli ultimi 9 anni di governi conservatori vedono proprio in un nuovo, ulteriore, governo conservatore la soluzione e la vendetta. Una mossa resa possibile soprattutto, ma non solo, dalla posizione referendaria dell’ex Sindaco di Londra ed ex Ministro degli Esteri; a pesare è anche il suo carattere “diretto”, con le gaffes che diventano uno schiaffo all’odiata “correttezza politica”. A vincere, o a perdere, queste elezioni sarà sempre e soltanto lui. Ma una vittoria importante, dell’ordine di 40 o 50 seggi di maggioranza, gli darebbe la possibilità di rafforzare la corrente One Nation, ovvero gli darebbe la forza di spostare al centro le politiche economiche e sociali dei Tories, restituendo quanto meno in potenza al paese anche un partito conservatore in grado di rappresentare anche la working class.
Nazionalismo e Brexit
Una terza chiave di lettura sono poi le conseguenze di lungo periodo di questo voto. In Scozia un buon risultato dei nazionalisti dell’SNP darebbe ulteriore forza alle richieste di un secondo referendum, mentre gli agricoltori al confine con l’Inghilterra non si fidano dell’accordo chiuso dal governo con Bruxelles; in Irlanda del Nord i repubblicani cattolici sono invece soddisfatti, vedono nel Protocollo sull’Irlanda del Nord del Withdrawal Agreement firmato da Johnson il riconoscimento della specificità della situazione dell’Ulster. Una interpretazione condivisa dagli Unionisti, che si sentono traditi dal proprio alleato naturale e anche dalla propria leadership, tanto da essere a rischio il seggio a Belfast Norh di Nigel Dodd, il capogruppo del DUP artefice della morte politica di Theresa May, e all’origine, con la sua opposizione senza se e senza ma, di queste elezioni anticipate. Una sconfitta che rafforzerebbe il fronte di chi chiede una consultazione popolare per la riunificazione dell’isola. A fare da cornice, ci sono poi tre incognite.
In primis l’affluenza alle urne: la registrazione di massa di giovani under 25 cambia il panorama elettorale e priva di precedenti. C’è poi il voto tattico: tutto tranne l’hard Brexit di Boris Johnson, le mappe e i suggerimenti si moltiplicano per un voto che, dai Verdi agli Indipendentisti gallesi, ha l’unico obiettivo di indebolire il fronte conservatore. Esiste, infine, la realtà del Brexit Party: assente nelle circoscrizioni conservatrici, sta lavorando però bene in quelle laburiste. Il che potrebbe portare a una spaccatura del voto “d’opposizione”, e a una conseguente vittoria del partito laburista.
Che il voto di giovedì restituisca una maggioranza chiara resta, insomma, ancora tutto da vedere.