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Brexit, la svolta di Corbyn: il Labour si schiera per un secondo referendum

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Foto Getty

I laburisti si schiererebbero per il Remain se il prossimo governo conservatore dovesse arrendersi all'idea di una seconda consultazione. Ipotesi per cui spinge il leader dell'opposizione in una lettera aperta agli iscritti del partito

Jeremy Corbyn lancia quella che potrebbe essere una svolta sulla Brexit: il leader dell'opposizione britannica ha deciso di schierare ufficialmente il Labour a favore di un secondo referendum, se il prossimo premier conservatore dovesse decidere di indirlo, arrendendosi quindi all'idea di un nuovo voto popolare. Corbyn si impegna a sostenere l'opzione Remain, contro qualunque ipotesi di divorzio no deal come pure contro qualunque "dannoso" accordo di uscita dall'Ue di marca Tory. La decisione, rinviata nelle settimane scorse, è stata ratificata oggi dal governo ombra e annunciata in una lettera aperta agli iscritti del Partito Laburista (LE TAPPE DELLA BREXIT).

La lettera di Corbyn agli iscritti

Corbyn rompe quindi gli indugi superando buona parte delle esitazioni che il fronte anti-Brexit (maggioritario, ma non unanime nelle file della sua formazione) gli aveva finora contestato. E sollecita chi fra Boris Johnson e Jeremy Hunt sarà destinato a subentrare a Theresa May come prossimo primo ministro del Regno Unito ad accettare un nuovo voto popolare sulla separazione da Bruxelles. "Chiunque diventi primo ministro, deve avere la fiducia di tornare dal popolo e sottoporre a un voto pubblico il suo accordo o un no deal", scrive Corbyn. "In questo caso - aggiunge - voglio rendere chiaro che il Labour farà campagna per il Remain contro qualunque accordo Tory che non protegga l'economia e i posti di lavoro".

L’opposizione interna al Labour

L'unica riserva, come concordato in una riunione fra i vertici laburisti e i sindacati che lo sostengono, resta legata alla possibilità che il prossimo governo Tory cada, passi la mano a un esecutivo laburista e che sia questo a negoziare una Brexit soft. Ma comunque si tratta solo di un'ipotesi al momento teorica, che non cancella la svolta. Un cambio di rotta approvato - sia pur con qualche riserva - dall'ala più europeista del partito e dalla fronda animata dal vice leader Tom Watson, ma sollecitata ormai da mesi anche da diversi esponenti della sinistra interna fedelissimi di Corbyn. E che tuttavia non cancella l'opposizione di oltre 20 deputati eletti in collegi pro Brexit e di uno zoccolo duro pro Leave della base laburista quantificato in circa un quarto del suo elettorato. La scelta viene inoltre denunciata da molti in casa Tory come un tradimento dell'impegno formalizzato dal Labour nel manifesto elettorale del 2017 a rispettare il risultato favorevole alla Brexit del referendum del 2016.

Alla Camera dei comuni non ammesso emendamento anti no-deal

Intanto, alla Camera dei comuni, niente da fare per il tentativo del fronte trasversale anti-Brexit di promuovere un nuovo emendamento che avrebbe legato le mani al prossimo governo Tory guidato dal successore di Theresa May contro l'opzione di un divorzio no deal da Bruxelles alla scadenza della proroga del 31 ottobre. L'iniziativa, presentata dal conservatore dissidente filo Ue Dominic Grieve, è stata infatti giudicata irricevibile dallo speaker, John Bercow, e non ammessa al voto. Grieve aveva tentato d'inserirla in una legge che non riguarda direttamente la Brexit, proponendo che Westminster si riunisse obbligatoriamente a settembre e a ottobre in modo da impedire al futuro governo un rinvio della sua convocazione. Arma di cui l'esecutivo dispone nel sistema britannico (avendo il controllo dell'agenda parlamentare) e che alcuni sostenitori di Johnson non escludono di usare per poter eventualmente procedere a una Brexit no deal a Camere chiuse.

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