La Borsa americana ha perso oltre il 3% e il presidente ha puntato il dito contro la banca centrale, colpevole di aver alzato i tassi di interesse. In fumo 99 miliardi. Contrazioni anche sui mercati asiatici
Il 10 ottobre è stato un mercoledì nero per Wall Street: il Dow Jones ha chiuso perdendo il 3,15%, il Nasdaq ha ceduto il 4,08% e lo S&P 500 ha lasciato sul terreno il 3,27%. Il presidente Donald Trump non ha esitato a dare la colpa del crollo alla Federal Reserve, affermando che la banca centrale americana è “impazzita”. “È troppo severa”, ha detto Trump riferendosi all’aumento dei tassi d’interesse da parte della banca centrale.
Le tre cause del crollo
A pesare su Wall Street, tre fattori in particolare: il rialzo dei tassi sui Treasury, l’impatto dei dazi sulle trimestrali e, infine, l'ondata di vendite sui tecnologici ipervalutati. In totale sono andati in fumo 99 miliardi di dollari, un dato che pesa soprattutto sui 500 super ricchi mondiali. Il più colpito - secondo l'indice dei miliardari di Bloomberg - è Jeff Bezos, ad di Amazon, che ha bruciato in una seduta 9,1 miliardi di dollari, e vede scendere la sua fortuna a 145,2 miliardi di dollari.
L’attacco di Trump contro la Fed
“Stanno andando troppo veloce con il rialzo dei tassi”, ha spiegato il presidente in un’intervista alla Cnbc. Donald Trump non è nuovo agli attacchi contro le istituzioni del Paese. Ma questo atteggiamento non rientra nelle consuetudini, per cui il presidente degli Stati Uniti non dovrebbe commentare quel che fa la banca centrale. Inoltre, a capo della Fed, attualmente c’è Jerome Powell: il nuovo presidente scelto proprio da Donald Trump.
L’impatto sulle borse asiatiche
L'ondata partita da Wall Street ha travolto anche in mercati asiatici, con gli investitori che vendono i titoli del comparto tecnologico, e anticipano ulteriori rialzi dei tassi di interesse da parte della Federal Reserve. Oltre al tonfo dei tecnologici del Nasdaq, a favorire le vendite sono i timori per l'impatto della guerra commerciale Usa-Cina sui risultati delle aziende e la presa di coscienza dei mercati che è ormai terminata l'epoca delle politiche monetarie espansive. Il risultato è il calo del 3,89% di Tokyo e gli scivoloni non inferiori di Hong Kong (-3,79%) e dei listini cinesi Shanghai e Shenzhen (-4,91% e -5,96%), tutti a sedute ancora aperte. Per il Nikkei si tratta della maggiore contrazione da fine marzo. Sul fronte dei cambi lo yen torna a rivalutarsi sul dollaro a 112, e sull'euro a 129,50.