Alla Conferenza del Partito Conservatore a Birmingham l'ex ministro degli esteri attacca la linea del governo sulla Brexit ma non la leadership di Theresa May. Per lui il miglior attacco è l'attesa.
In patria lo chiamano "leader in waiting", "leader in attesa", e di certo il suo status non migliorerà a Birmingham. Lì dove in più di 1500 hanno fatto un'ora e mezza di fila per ascoltarlo tra standing ovation e applausi scroscianti; lì dove, nonostante tutto, non ha lanciato il guanto di sfida a Theresa May, non si è candidato apertamente e ufficialmente a Downing Street.
Ancora una volta, Boris Johnson ha scelto di aspettare. Strategia o tattica, necessità o virtù, le interpretazioni variano. Ma il dato di fatto è che l'ex ministro degli esteri si è limitato a ribadire la sua posizione - il piano di Chequers va abbandonato, dobbiamo lavorare per un accordo di libero scambio stile Canada+, la clausola sull'Irlanda va denunciata - senza far seguire le sue parole da atti concreti.
Forse perché sa di non avere i numeri. Servono 48 lettere di sfiducia per andare a un voto, e poi in 158 dovrebbero girarle le spalle. Le voci di corridoio, a Westminster, raccontano di un partito insoddisfatto, certamente, ma molto meno pronto alla ribellione di quanto i Brexiter più duri e puri non lascino intendere. E i sondaggi raccontano di una base sostanzialmente fedele alla May, che magari non porterà a casa tutto il risultato, ma viene ancora vista come capace di chiudere un compromesso non (troppo) al ribasso.
Non solo. Se l'agguato dovesse riuscire, si andrebbe ad "elezioni" interne - che Boris non ha comunque la certezza di vincere. Se al contrario l'agguato non dovesse riuscire, la May non potrebbe essere sfidata per 12 lunghi mesi. Il timing è molto.
Molto, ma non tutto. Perché non ci sono solo le ragioni dei numeri. Ci sono anche quelle del cuore. E in molti si chiedono se a Boris, o a chiunque altro, convenga diventare tra poche settimane Primo Ministro. Nel bel mezzo di negoziati difficilissimi, con il rischio di un fallimento dietro l'angolo, con un elettorato che è stato riempito di promesse non realizzabili - in primis, i famosi 350 milioni di sterline alla settimana per il servizio sanitario nazionale da "stornare" dai contributi versati a Bruxelles.
Forse, semplicemente, Boris aspetta perché aspettare gli conviene. Aspettare alzando la voce ribadendo le sue posizioni; ma aspettare, lasciando che la firma sotto l'accordo (o sotto il fallimento) sia quella di Theresa May.