Elezioni Turchia 2018, tutto quello che c'è da sapere

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Matteo Furcas

Una donna durante una recente manifestazione pro-Erdogan a Istanbul (Foto Getty)

Il presidente uscente Erdogan cerca di consolidare la leadership nel primo voto con l'assetto presidenziale introdotto dal referendum del 2017. Ma potrebbe essere costretto al ballottaggio: pesano sull'esito finale la crisi economica e il tema curdi

Domenica 24 giugno la Turchia torna alle urne per l’elezione del presidente e il rinnovo del Parlamento. Sarà la prima consultazione con il nuovo sistema presidenziale introdotto dal referendum del 2017 (LA SCHEDA). Il voto si sarebbe dovuto svolgere nel novembre 2019, ma il presidente in carica Recep Tayyip Erdogan ha deciso di anticipare la data proprio per accelerare sulla messa in pratica del nuovo assetto istituzionale. Erdogan cerca di consolidare così la propria leadership in un clima di incertezza economica per il Paese e dopo il fallito colpo di stato del 2016. Ma potrebbe essere costretto al ballottaggio. Se venisse nuovamente eletto, con un mandato di cinque anni - che quasi sicuramente porterebbe a termine con il nuovo assetto -, Erdogan arriverebbe a 20 anni di potere. L'uomo forte della Turchia ha da poco superato in longevità al potere il “padre della patria” Mustafa Kemal Ataturk, che rimase alla guida del Paese per 15 anni, dal 1923 al 1938. Erdogan ha ricoperto la carica di premier dal 15 marzo 2003 e poi quella di presidente dal 10 agosto 2014. Il voto si terrà dalle 8 alle 17, gli elettori chiamati alle urne sono poco più di 56 milioni e 300mila.

L’anticipo della data delle elezioni

Erdogan ha annunciato la decisione di anticipare le elezioni lo scorso 18 aprile. Secondo il presidente turco, leader del Partito per la giustizia e lo sviluppo (Akp), l’anticipo della data servirà a dare una più rapida ed efficace applicazione del nuovo sistema istituzionale che la Turchia ha adottato formalmente con il referendum dell’aprile 2017. Con il nuovo sistema, il Paese diventa una repubblica presidenziale: elezione diretta del presidente, dunque, a cui saranno garantiti maggiori poteri anche legislativi, con annessa abolizione della carica di primo ministro, e un ridimensionamento del ruolo del Parlamento, compreso il controllo esercitato su governo e presidente. Con queste elezioni inoltre, entra in vigore la corrispondenza della durata dei mandati: cinque anni sia per il presidente che per il parlamento. L'annuncio della nuova data è arrivato dopo un incontro di Erdogan con il leader del partito nazionalista Mhp, Devlet Bahceli, suo alleato, che aveva lanciato un appello per anticipare il voto. C'è una "urgenza di una transizione al nuovo sistema", aveva detto Erdogan in un breve discorso, aggiungendo che occorre andare alle urne "per eliminare le incertezze" legate alle elezioni dall'agenda politica e "prendere decisioni economiche importanti".

La crisi economica che fa vacillare Erdogan

È proprio l’economia la leva su cui cerca di agire l’opposizione a Erdogan. Da punto di forza la questione economica sembra diventata il tallone d'Achille del presidente. La Turchia arriva al voto in una situazione di profonda incertezza: negli ultimi due mesi, da quando sono state indette le elezioni, la lira è crollata e ha perso circa il 20% contro dollaro ed euro. Un disastro per un Paese che continua a importare molti beni di consumo. L'inflazione è stabilmente sopra il 10%, così come la disoccupazione: tra i giovani, uno su cinque è senza lavoro. L’economia è quindi diventata la principale questione e preoccupazione del Paese: all'inizio dell'anno, per i turchi il primo problema da affrontare era "il terrorismo". Ora, secondo i dati citati da Ansa, uno su due risponde che sono l'economia o la disoccupazione.  

Come si vota in Turchia e chi sono i candidati

Con il nuovo sistema l’elezione diretta del presidente è a maggioranza semplice su due turni. Tayyip Erdogan punta quindi a superare già al primo turno il 50%+1 dei voti ed evitare così il ballottaggio. Il presidente uscente, secondo gli ultimi sondaggi citati da Ansa, però, rischia di arrivare sotto la soglia che gli garantirebbe subito la vittoria. Sempre secondo i sondaggi, sono soltanto due i candidati che possono aspirare alla vittoria al ballottaggio: il presidente uscente, sostenuto dal suo partito, l’Akp, e dal partito nazionalista di estrema destra Mhp, e Muharrem İnce, professore di fisica sostenuto dal Partito Popolare, laico e socialdemocratico, noto come Chp. L’altro grosso partito di opposizione, Iyi Parti (“il Buon partito"), ha candidato la nazionalista ed ex ministro degli Interni Meral Akşener. C’è poi il leader del partito filocurdo, di sinistra, Hdp, Selahattin Demirtas. Gli altri candidati sono Temel Karamollaoglu, per il Partito della felicità Saadet (Sp), e Dogu Perincek che rappresenterà il Partito Patriottico. Per quanto riguarda l’elezione del Parlamento, il metodo è proporzionale: i 600 seggi vengono assegnati in 85 circoscrizioni, ognuna delle quali esprime un numero diverso di eletti in base alla popolazione. È prevista una soglia di sbarramento per le liste del 10%. Per il Parlamento l’alleanza opposta ad Akp-Mhp è l’Alleanza nazionale, composta da Chp, dal Buon Partito (laico, liberale e nazionalista), dal Partito della Felicità (islamista e moderato, conosciuto come Sp), e dal Partito Democratico.

I curdi ago della bilancia

Per l’esito finale del voto, in ogni caso, svolge un ruolo decisivo la popolazione curda. Con una mossa significativa, il partito filo curdo Hdp ha scelto di candidare il proprio leader, Selahattin Demirtas, in carcere dal 4 novembre 2016 con accuse di terrorismo a suo carico. Non potendo sfidare apertamente l'Akp del presidente uscente, l'Hdp ha scelto di riportare l’attenzione sulle violazioni di diritti civili e politici subite negli ultimi anni dai propri parlamentari (nove in carcere) e attivisti. Se l’Hdp dovesse riuscire a superare la soglia di sbarramento, sottrarrebbe un numero di parlamentari al partito di Erdogan forse decisivo per la conquista della maggioranza. Non tutti i curdi, però, professano contrarietà al predominio di Erdogan: secondo i sondaggi citati da Ansa, circa la metà dei 16 milioni di curdi di Turchia che si recheranno alle urne (20% degli elettori) voterà per l'Hdp di Demirtas, mentre l'altra metà è orientata a votare Erdogan, convinta che possa dare stabilità e garantire la pace (anche con la forza), nella loro regione.

La questione curda nella campagna elettorale di Erdogan

La questione curda resta uno degli argomenti usati più di frequente dal presidente uscente. Erdogan lo ha ribadito durante la campagna elettorale, parlando di minaccia terroristica curda e dicendo di essere pronto a bombardare e a eseguire operazioni militari, anche sconfinando in Iraq e Siria, le zone dove l’attività militare del Pkk è più consistente. Sono state diverse infatti negli ultimi mesi le operazioni - come quella per acquisire il controllo dell'enclave curda in Siria di Afrin - e gli scontri oltre confine. Anche il recente ritiro dei curdi siriani del Pyd-Ypg (considerati alla stregua del Pkk) da Manbij, ottenuto grazie a un accordo con Washington, è stato rivendicato nella campagna elettorale di Erdogan. A poco più di una settimana dal voto, inoltre, la Turchia ha ultimato la costruzione del muro sul confine con la Siria, per una lunghezza totale di 764 chilometri. Ufficialmente, per impedire ai membri dell’organizzazione terroristica del Pkk, il Partito dei lavoratori del Kurdistan, di oltrepassare il confine per andare ad aiutare la rete dei curdi siriani dello Ypg e viceversa.

I timori di brogli

Anche lo spettro dei brogli è entrato nella campagna elettorale. Già in occasione del referendum del 2017, le denunce erano state diverse e secondo l’Osce erano mancate le “garanzie contro le frodi”. Con l'avvicinamento alle urne, crescono quindi le preoccupazioni sulla trasparenza del voto. Decine di migliaia di volontari sono stati mobilitati dalle Ong impegnate nel monitoraggio indipendente che sarà svolto anche da diverse istituzioni internazionali, compreso l'Osce/Odihr. I timori vanno dal conteggio delle schede non timbrate allo spostamento di seggi strategici dal Sud-Est curdo per "motivi di sicurezza". E già al referendum dell'anno scorso, denuncia l'opposizione, i brogli furono decisivi.

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