Twitter ammette: “700mila utenti Usa incappati in propaganda Mosca”

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Foto d'archivio del logo di Twitter (Getty)

La piattaforma invierà una notifica alle persone che durante la campagna per le elezioni statunitensi del 2016 hanno interagito con profili propagandistici riconducibili alla Russia. Oltre 50mila gli account usati per post automatici, ora rimossi

Sono quasi 700mila gli utenti di Twitter che durante la campagna elettorale per le presidenziali Usa del 2016 hanno interagito senza saperlo con profili identificati quali potenziali veicoli di propaganda riconducibili alla Russia. L’ammissione è arrivata dalla stessa piattaforma: Twitter a breve notificherà via mail a circa 677mila statunitensi che inconsapevolmente erano stati raggiunti da questi contenuti.

50mila account automatici

Twitter ha ammesso che sono stati oltre 50mila gli account legati alla Russia che hanno usato il servizio di microblogging per diffondere post automatici sulle elezioni americane del 2016, un numero molto più alto di quando rivelato in precedenza. Questi profili sono stati rimossi e i dettagli sono stati inviati al Congresso che sta indagando sulle interferenze di Mosca nel voto americano. 

Profili vicini alla “fabbrica dei troll”

Molti di questi account, che vanno ad aggiungersi a quelli già riportati al Congresso lo scorso ottobre, sono associati alla cosiddetta “fabbrica dei troll”, la società tecnologica russa “Internet Research Agency” di San Pietroburgo, già accusata di aver usato i social media per diffondere fake news prima delle elezioni americane. In particolare Twitter ha riferito di aver identificato 3.814 profili legati ad Ira, che hanno postato circa 176mila tweet nelle dieci settimane prima del voto, e altri 50.258 profili automatizzati considerati legati al governo russo che hanno twittato oltre un milione di volte.

L’impegno di Twitter

Twitter ha ribadito il suo "impegno a continuare a lavorare su questo tema importante". Insieme a Facebook, il colosso tecnologico è stato pesantemente criticato negli Usa per non essere riuscito a individuare e bloccare l'offensiva propagandistica e di disinformazione dilagata sui social network durante la campagna elettorale del 2016. 

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