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Russiagate, l'ex capo della campagna di Trump si consegna all'Fbi

Mondo
Paul Manafort (Getty Images)

Paul Manafort e il socio Rick Gates ai domiciliari. 12 capi di imputazione, tra cui cospirazione contro gli Usa. Trump esplode: "Nessuna collusione". George Papadopoulos, altro ex collaboratore, ammette di aver reso false dichiarazioni nell'ambito delle indagini

A cinque mesi dalla sua nomina, il procuratore speciale del Russiagate Robert Mueller ha spiccato i primi capi di imputazione che fanno tremare Trump. I destinatari sono Paul Manafort, 68 anni, ex capo della campagna elettorale del tycoon, e il suo fedele ex socio, Rick Gates (46). Entrambi hanno preferito consegnarsi spontaneamente all'Fbi dopo le anticipazioni dell'inchiesta, pubblicate anche sul New York Times.

Si dichiarano "non colpevoli"

Ma poche ore dopo, davanti al giudice federale di Washington Deborah Robinson, si sono dichiarati "non colpevoli" dei 12 capi di imputazione che, in caso di condanna, potrebbero costare loro sino a 70-80 anni di carcere e decine di milioni di dollari di multe. Intanto, il procuratore ha ottenuto per loro gli arresti domiciliari e chiesto 10 milioni di dollari di cauzione per Manafort e 5 per Gates.

Rischiano fino a 80 anni

Le accuse, che vanno dal 2006 al 2017, sono pesanti, anche se nessuna è direttamente collegata alla campagna elettorale: cospirazione contro gli Usa, riciclaggio, omessa registrazione come agenti stranieri, mancata denuncia di conti in banche estere, dichiarazioni false e fuorvianti. Nel mirino in particolare la loro attività di consulenza non dichiarata per il controverso presidente ucraino filorusso Viktor Ianukovich, deposto nel 2014 dalla rivolta del Maidan, e per il suo partito delle regioni, con ingenti pagamenti in nero. Sui conti offshore di Manafort, secondo l'accusa, sono transitati oltre 75 milioni di dollari, di cui oltre 18 riciclati, mentre Gates ne ha trasferito oltre 3. Per ora nessuna 'connection' tra gli agganci filorussi di Manafort e il suo ruolo come stratega della campagna elettorale di Trump.

Trump: nessuna collusione

E questa è anche la linea della Casa Bianca. "Mi dispiace, ma tutto questo risale ad anni fa, prima che Paul Manafort fosse parte della campagna di Trump", ha twittato il presidente, ribadendo che non c'è "alcuna collusione" con Mosca e chiedendosi "perché al centro dell'attenzione non ci sono la corrotta Hillary e i Dem?". "Niente a che fare con il presidente, né con la campagna elettorale", gli ha fatto eco la portavoce Sarah Sanders. "Non siamo preoccupati, sono tutti episodi che non riguardano la campagna", ha incalzato Jay Sekulow, avvocato di Trump, assicurando piena collaborazione e che il presidente non intende ne' licenziare Mueller né interferire con l'inchiesta.

Terzo imputato si dichiara colpevole

Ma oggi nel Russiagate è spuntato anche un terzo imputato, che rischia di diventare più imbarazzante e pericoloso per la Casa Bianca. E' George Papadopolous, ex collaboratore volontario della campagna di Trump, che dopo essere stato arrestato si è dichiarato colpevole per aver reso false dichiarazioni all'Fbi "sui tempi, l'estensione e la natura dei suoi rapporti e della sua interazione con certi individui stranieri che aveva capito avere strette connessioni con alti dirigenti del governo russo", ostacolando così le indagini sulle presunte collusioni tra la campagna di Trump e Mosca. Papadopolous ebbe contatti (anche in Italia) con un non meglio precisato professore basato a Londra, che gli aveva svelato come i russi avessero materiale compromettente su Hillary, migliaia di sue mail, e con una donna russa che sosteneva di essere una nipote di Putin. Tramite loro propose di organizzare un incontro tra dirigenti della campagna di Trump e la leadership russa, "incluso Putin". La proposta fu però respinta. La Casa Bianca ha preso le distanze da George Papadopoulos ("un ruolo da volontario, estremamente limitato") ma è lui il potenziale anello debole e quello che potrebbe far alzare il mirino dell'inchiesta. 

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