Casa Bianca: dopo il datagate, nuove proposte per la privacy

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Gennaio 2014: Obama annuncia la riforma della NSA - Getty Images
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Un rapporto commissionato da Obama nell'ambito della revisione delle attività di sorveglianza digitale suggerisce alcune riforme: maggiore protezione dei dati personali, riservatezza anche per i non americani e tutele contro la perdita di informazioni

di Raffaele Mastrolonardo

I dati personali, in particolare le email degli utenti, devono essere meglio protetti; anche i non americani hanno diritto a garanzie per quanto riguarda la riservatezza delle informazioni digitali; e, inoltre, c'è bisogno di una legislazione nazionale sui furti e le perdite di dati. In un'altra epoca raccomandazioni come queste, che riguardano la privacy digitale degli utenti, sarebbero passate inosservate. In questi tempi segnati dallo scandalo della sorveglianza elettronica di massa portata avanti dalla National Security Agency (NSA), l'agenzia di intelligence Usa, diventano invece di interesse pubblico (anche fuori dai confini americani).

Le indicazioni sono contenute in un rapporto reso pubblico la scorsa settimana e annunciato dallo stesso presidente degli Stati Uniti a gennaio durante un discorso sulla riforma della NSA. In quell'occasione Barack Obama affermò, fra le altre cose, l'intenzione di investigare il fenomeno dei cosiddetti big data per meglio coglierne opportunità e rischi. E, considerando che proprio di big data si è servita la NSA, è quasi inevitabile leggere i risultati di questo lavoro alla luce del più ampio contesto di cui il cosiddetto datagate è parte rilevante.

Passi avanti - Il rapporto, la cui redazione è stata guidata da John Podesta, uno dei consiglieri di Obama, offre una serie di indicazioni alla Casa Bianca per quanto riguarda le politiche da adottare sull'argomento. Tra le più importanti, c'è la riforma della legislazione sulla protezione delle comunicazioni elettroniche dei consumatori giudicata, in alcune sue parti, anacronistica. Gli autori del documento chiedono che vengano "assicurati per i contenuti online standard di protezione coerenti con quelli assicurati nel mondo fisico", spingendo quindi per una maggiore tutela dei diritti dei cittadini nei confronti delle forze dell'ordine: un messaggio che farà piacere ai difensori dei diritti digitali.

Il testo, che chiede anche una consultazione pubblica su come adattare la legislazione della privacy all'era dei big data, riconosce poi che la riservatezza è un valore ormai sentito internazionalmente e che dunque i meccanismi di protezione devono essere garantiti anche agli stranieri. Si raccomanda così di estendere la legislazione nazionale ai non statunitensi o, dove questo non sia possibile, di trovare strumenti alternativi. Proprio questa raccomandazione appare assai significativa visto che uno dei nodi più scottanti emersi nel dibattito sullo scandalo della sorveglianza di massa è stato proprio il diverso trattamento, per quanto riguarda i diritti, di cittadini americani e stranieri. Infine, il rapporto spinge per l'adozione di una legislazione a livello federale riguardo ai furti o alle perdite di dati sensibili che stabilisca, tra le altre cose, tempi certi di notifica agli utenti della falla. Al momento questo aspetto è demandato alle legislazioni dei singoli stati.

Le reazioni – Secondo la Electronic Frontier Foundation (EFF), organizzazione americana che si batte per i diritti digitali, lo studio presenta luci e ombre. Secondo la EFF è positivo che il documento propugni una riforma della legislazione sulla privacy, soprattutto per quanto riguarda la possibilità da parte delle autorità di accedere alle email degli utenti e che chieda che le garanzie di protezione riservate agli statunitensi siano estese agli stranieri. L'organizzazione avrebbe però voluto una maggiore incisività per quanto riguarda la questione della raccolta dei metadati, ovvero quelle informazioni che non riguardano direttamente il contenuto di una conversazione telefonica o di un messaggio di posta elettronica ma elementi come data, numero o indirizzo del destinatario o  durata di una chiamata. Come hanno mostrato anche alcune applicazioni online, dai metadati si possono derivare informazioni anche molto dettagliate sulla vita di una persona. Il rapporto, invece, si limita a descrivere la questione come controversa e a chiedere al governo ulteriori indagini. Inaccettabile infine, per la EFF, l'assenza di riferimenti all'uso dei big data da parte delle autorità e della NSA per attività di sorveglianza, ovvero proprio il fenomeno che ha dato origine alla richiesta presidenziale di realizzare uno studio sull'argomento.

Utenti più consapevoli – La pubblicazione del rapporto arriva in un momento in cui, anche per via delle implicazioni del cosiddetto datagate, gli utenti sembrano sempre più preoccupati e consapevoli dei rischi e dei diritti riguardo alla loro privacy nel mondo digitale. L'ultima conferma di questa tendenza giunge dalla campagna lanciata da Mozilla, la fondazione che presiede allo sviluppo del browser Firefox. Intitolata The Web We Want, l'iniziativa invita gli utenti a indicare le loro priorità per il futuro della Rete. Quando hanno risposto oltre 100 milioni di persone, il tema più sentito in tutte le aree geografiche è proprio la riservatezza personale, percepita come la questione più importante dal 41,4 per cento degli europei e dal 36,3 % degli americani.

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