Big Data, come cambia il concetto di privacy nel mondo
MondoDopo lo scoppio del Datagate, la riservatezza dei dati personali resta un tema importante per il 75% dei cittadini, secondo una ricerca di Boston Consulting Group. Ma da paese a paese ci sono anche differenze sostanziali. Ecco quali: GUARDA I GRAFICI
Paese che vai, senso della privacy che trovi. In Giappone, Cina e India vengono considerati poco “privati” i dati sulla localizzazione e quelli relativi ai bambini, mentre queste sono informazioni molto sensibili per statunitensi ed europei. I brasiliani sono molto più propensi a condividere i dati medici e genetici, a differenza di noi europei che, più in generale, siamo molto conservativi sul trattamento delle informazioni personali.
Sono questi alcuni dei dati che emergono da una ricerca condotta da Boston Consulting Group, società di consulenza e management. Lo studio prende in considerazione l’atteggiamento di 18.000 consumatori di 18 paesi in relazione all’uso (spesso controverso) che le grandi compagnie web fanno dei Big Data. Ma offre anche strumenti per interpretare l’impatto del recente scandalo delle intercettazioni telefoniche e Internet da parte della NSA statunitense.
L’importanza della privacy - Al di là delle differenze, a livello globale il valore della privacy rimane molto alto. Per il 75% degli intervistati, la riservatezza dei dati personali è una questione “molto importante”. Soprattutto quando in ballo ci sono i dati sulle carte di credito e finanziari, considerati “molto sensibili” dall’85% dei consumatori.
Le differenze tra i paesi cominciano, invece, ad emergere quando si passa ad ambiti extra-economici, come le informazioni sui minori (ritenute poco private in Cina, India e Brasile), l’esatta localizzazione (in Giappone viene condivisa senza molti problemi, mentre in Europa no), i dati sanitari e genetici (che in Occidente sono considerati molto sensibili, a differenza dei paesi asiatici).
Quanto alle email e l’elenco dei numeri chiamati (due delle attività “intercettate” dalla NSA), in tutti i paesi (a eccezione forse del Giappone) si registra un alto desiderio di riservatezza.
In Europa - Insieme agli statunitensi, i cittadini europei sono quelli che più tengono a cuore la riservatezza dei dati personali nell’era digitale. Ma anche nel vecchio continente ci sono differenze tra informazioni ritenute più private e altre meno. Lo studio di Boston Consulting Group prende in considerazione 5 paesi europei: Italia, Regno Unito, Germania, Spagna e Francia. In questo gruppo di nazioni, i dati ritenuti più privati in assoluto sono quelli bancari, sui minori, la salute, il partner, ma anche l’email, la localizzazione geografica, la cronologia web e gli acquisti.
Gli utenti europei sono invece meno preoccupati dalla condivisione di dati che riguardano i grandi brand, il nome e cognome, l’età, l’uso dei media, gli acquisti programmati. Nel grafico sotto, l’elenco completo dei dieci dati che per gli intervistati non sono del tutto privati.
Il mercato della fiducia - Come dimostrano i grafici sopra, quando si parla di privacy dei dati personali non bisogna fare troppe generalizzazioni: “I consumatori sono predisposti a consentire l’utilizzo dei dati personali, ma solo se poi questi vengono trattati con molta attenzione”, sottolineano gli autori dello studio. Questo vuol dire che, anche dopo il datagate, le compagnie possono continuare a sfruttare il potenziale dei Big Data, a patto però che ci sia trasparenza totale sull’utilizzo dei dati, vengano stabilite linee guida per la loro raccolta e utilizzo, si creino metriche per valutare la fiducia in maniera obiettiva.
Sono questi alcuni dei dati che emergono da una ricerca condotta da Boston Consulting Group, società di consulenza e management. Lo studio prende in considerazione l’atteggiamento di 18.000 consumatori di 18 paesi in relazione all’uso (spesso controverso) che le grandi compagnie web fanno dei Big Data. Ma offre anche strumenti per interpretare l’impatto del recente scandalo delle intercettazioni telefoniche e Internet da parte della NSA statunitense.
L’importanza della privacy - Al di là delle differenze, a livello globale il valore della privacy rimane molto alto. Per il 75% degli intervistati, la riservatezza dei dati personali è una questione “molto importante”. Soprattutto quando in ballo ci sono i dati sulle carte di credito e finanziari, considerati “molto sensibili” dall’85% dei consumatori.
Le differenze tra i paesi cominciano, invece, ad emergere quando si passa ad ambiti extra-economici, come le informazioni sui minori (ritenute poco private in Cina, India e Brasile), l’esatta localizzazione (in Giappone viene condivisa senza molti problemi, mentre in Europa no), i dati sanitari e genetici (che in Occidente sono considerati molto sensibili, a differenza dei paesi asiatici).
Quanto alle email e l’elenco dei numeri chiamati (due delle attività “intercettate” dalla NSA), in tutti i paesi (a eccezione forse del Giappone) si registra un alto desiderio di riservatezza.
In Europa - Insieme agli statunitensi, i cittadini europei sono quelli che più tengono a cuore la riservatezza dei dati personali nell’era digitale. Ma anche nel vecchio continente ci sono differenze tra informazioni ritenute più private e altre meno. Lo studio di Boston Consulting Group prende in considerazione 5 paesi europei: Italia, Regno Unito, Germania, Spagna e Francia. In questo gruppo di nazioni, i dati ritenuti più privati in assoluto sono quelli bancari, sui minori, la salute, il partner, ma anche l’email, la localizzazione geografica, la cronologia web e gli acquisti.
Gli utenti europei sono invece meno preoccupati dalla condivisione di dati che riguardano i grandi brand, il nome e cognome, l’età, l’uso dei media, gli acquisti programmati. Nel grafico sotto, l’elenco completo dei dieci dati che per gli intervistati non sono del tutto privati.
Il mercato della fiducia - Come dimostrano i grafici sopra, quando si parla di privacy dei dati personali non bisogna fare troppe generalizzazioni: “I consumatori sono predisposti a consentire l’utilizzo dei dati personali, ma solo se poi questi vengono trattati con molta attenzione”, sottolineano gli autori dello studio. Questo vuol dire che, anche dopo il datagate, le compagnie possono continuare a sfruttare il potenziale dei Big Data, a patto però che ci sia trasparenza totale sull’utilizzo dei dati, vengano stabilite linee guida per la loro raccolta e utilizzo, si creino metriche per valutare la fiducia in maniera obiettiva.