Le analisi sul corpo inizieranno a Ramallah martedì 27. C'è il sospetto che l'ex leader palestinese sia stato vittima di un avvelenamento da polonio. Due giorni dopo l'Anp presenterà all'Onu la richiesta per diventare "stato non membro"
La riesumazione annunciata per martedì 27 del corpo di Yasser Arafat per fare luce sulle circostanze della sua morte fa da corollario alla richiesta del governo di Abu Mazen per il riconoscimento della Palestina all'Onu e alla recente tregua tra Israele e Hamas in quella che promette di essere una settimana di svolta a cavallo tra passato e futuro per i palestinesi.
Mentre a Gaza infatti si cerca un lento ritorno alla normalità dopo la guerra, in Cisgiordania è tempo di riesumazioni. La prima, quella materiale, riguarda l'esumazione del corpo dell'ex leader palestinese: martedì 27 verranno prelevati campioni di tessuto da un team franco-svizzero, supportato da un gruppo di esperti russi, per appurare se le accuse di avvelenamento da polonio mosse dalla vedova Arafat, Suha, suggerite dall'equipe svizzera e diventate di dominio pubblico dopo un'inchiesta di Al Jazeera siano fondate.
La seconda riesumazione, metaforica, riguarda invece l'Autorità Palestinese del presidente Abu Mazen (Mahmoud Abbas). Non si può dire che il direttivo di Ramallah negli ultimi tempi sguazzi nella popolarità: sia per i recenti sviluppi della situazione a Gaza, che hanno visto l'asse dei Fratelli Musulmani (Hamas e l'Egitto di Morsi) guadagnare consensi agli occhi dei palestinesi nei Territori, sia per una crisi economica che da tempo ha fatto irruzione nel flebile tessuto economico cisgiordano, che principalmente si basa sulle ingenti donazioni estere provenienti da Usa e Europa. Due giorni dopo la riesumazione di Arafat infatti, il 29 novembre, l'Anp presenterà alle Nazioni Unite la sua richiesta di "upgrade" dei Territori occupati Palestinesi a "stato non membro" in quello che sembra essere l'ultimo tentativo di una classe politica di "riesumare" il ruolo dell'Olp (Organizzazione per la liberazione della Palestina) come unico e riconosciuto rappresentante del popolo palestinese.
La mossa di Abu Mazen di non posticipare la richiesta, come esplicitamente richiesto da Hillary Clinton durante la sua recente visita a Ramallah, evidenzia forse il tentativo da parte del presidente di cavalcare il clima di riconciliazione tra Fatah e Hamas, favorito dal conflitto a Gaza e manifestatosi nelle numerose proteste in quasi tutte le città della Cisgiordania che per la prima volta dalla guerra civile (2006) hanno visto i militanti delle due fazioni marciare fianco a fianco.
Il risultato positivo dalla votazione all'Assemblea Generale dell'Onu sembra essere scontato e la maggior parte delle delle nazioni del mondo hanno già annunciato il loro supporto. Ma a discapito di quella che potrebbe essere vista come la prima vera vittoria politica del governo di Abu Mazen, i palestinesi in Cisgiordania non sembrano essere particolarmente eccitati dall'ennesimo tentativo di "carta da bollo" di creare uno Stato autonomo palestinese. Agli occhi di Fares al Kathib, che di mestiere fa l'insegnante in una scuola elementare a Ramallah, la probabile vittoria all'Onu non cambierà nulla e sarà come con gli Accordi Oslo (1993) una 'vittoria mutilata': "L'occupazione rimarrà e i coloni anche, cosa significa essere uno stato sulla carta quando sappiamo benissimo che la realt… sul territorio non cambierà?". I risvolti pratici della probabile vittoria al Palazzo di Vetro consentirebbero all'Anp di appellarsi alle Corti di giustizia internazionali e intentare una serie di azioni per il riconoscimento della violazione dei diritti umani dovuti all'occupazione israeliana, che metterebbero de facto lo stato ebraico di fronte ad una pressione internazionale senza precedenti e, secondo i dirigenti dell'Olp, favorirebbe un'accelerazione per la soluzione del decennale conflitto tra palestinesi e israeliani.
Su tutto questo aleggia la figura sempre presente di Arafat: non solo sui muri e nelle piazze dei Territori, tappezzate con gigantografie del leader palestinese per l'ottavo anniversario della sua morte, ma anche nelle menti dei palestinesi, combattuti tra il governo laico e senza appeal di Abu Mazen - 'reo', secondo alcuni, dell'impasse corrente - e l'islam politico dei Fratelli Musulmani, che in questo momento sembrano presentare un'offerta non priva di contraddizioni per la tradizione politica della Cisgiordania ma che hanno dimostrato una compattezza e un pragmatismo come da tempo non si vedeva in queste zone.
Mentre a Gaza infatti si cerca un lento ritorno alla normalità dopo la guerra, in Cisgiordania è tempo di riesumazioni. La prima, quella materiale, riguarda l'esumazione del corpo dell'ex leader palestinese: martedì 27 verranno prelevati campioni di tessuto da un team franco-svizzero, supportato da un gruppo di esperti russi, per appurare se le accuse di avvelenamento da polonio mosse dalla vedova Arafat, Suha, suggerite dall'equipe svizzera e diventate di dominio pubblico dopo un'inchiesta di Al Jazeera siano fondate.
La seconda riesumazione, metaforica, riguarda invece l'Autorità Palestinese del presidente Abu Mazen (Mahmoud Abbas). Non si può dire che il direttivo di Ramallah negli ultimi tempi sguazzi nella popolarità: sia per i recenti sviluppi della situazione a Gaza, che hanno visto l'asse dei Fratelli Musulmani (Hamas e l'Egitto di Morsi) guadagnare consensi agli occhi dei palestinesi nei Territori, sia per una crisi economica che da tempo ha fatto irruzione nel flebile tessuto economico cisgiordano, che principalmente si basa sulle ingenti donazioni estere provenienti da Usa e Europa. Due giorni dopo la riesumazione di Arafat infatti, il 29 novembre, l'Anp presenterà alle Nazioni Unite la sua richiesta di "upgrade" dei Territori occupati Palestinesi a "stato non membro" in quello che sembra essere l'ultimo tentativo di una classe politica di "riesumare" il ruolo dell'Olp (Organizzazione per la liberazione della Palestina) come unico e riconosciuto rappresentante del popolo palestinese.
La mossa di Abu Mazen di non posticipare la richiesta, come esplicitamente richiesto da Hillary Clinton durante la sua recente visita a Ramallah, evidenzia forse il tentativo da parte del presidente di cavalcare il clima di riconciliazione tra Fatah e Hamas, favorito dal conflitto a Gaza e manifestatosi nelle numerose proteste in quasi tutte le città della Cisgiordania che per la prima volta dalla guerra civile (2006) hanno visto i militanti delle due fazioni marciare fianco a fianco.
Il risultato positivo dalla votazione all'Assemblea Generale dell'Onu sembra essere scontato e la maggior parte delle delle nazioni del mondo hanno già annunciato il loro supporto. Ma a discapito di quella che potrebbe essere vista come la prima vera vittoria politica del governo di Abu Mazen, i palestinesi in Cisgiordania non sembrano essere particolarmente eccitati dall'ennesimo tentativo di "carta da bollo" di creare uno Stato autonomo palestinese. Agli occhi di Fares al Kathib, che di mestiere fa l'insegnante in una scuola elementare a Ramallah, la probabile vittoria all'Onu non cambierà nulla e sarà come con gli Accordi Oslo (1993) una 'vittoria mutilata': "L'occupazione rimarrà e i coloni anche, cosa significa essere uno stato sulla carta quando sappiamo benissimo che la realt… sul territorio non cambierà?". I risvolti pratici della probabile vittoria al Palazzo di Vetro consentirebbero all'Anp di appellarsi alle Corti di giustizia internazionali e intentare una serie di azioni per il riconoscimento della violazione dei diritti umani dovuti all'occupazione israeliana, che metterebbero de facto lo stato ebraico di fronte ad una pressione internazionale senza precedenti e, secondo i dirigenti dell'Olp, favorirebbe un'accelerazione per la soluzione del decennale conflitto tra palestinesi e israeliani.
Su tutto questo aleggia la figura sempre presente di Arafat: non solo sui muri e nelle piazze dei Territori, tappezzate con gigantografie del leader palestinese per l'ottavo anniversario della sua morte, ma anche nelle menti dei palestinesi, combattuti tra il governo laico e senza appeal di Abu Mazen - 'reo', secondo alcuni, dell'impasse corrente - e l'islam politico dei Fratelli Musulmani, che in questo momento sembrano presentare un'offerta non priva di contraddizioni per la tradizione politica della Cisgiordania ma che hanno dimostrato una compattezza e un pragmatismo come da tempo non si vedeva in queste zone.