Arrestato per la seconda volta lunedì 5 marzo durante le proteste contro i presunti brogli elettorali, e poi rilasciato, l'avvocato di 35 anni è dal 2009 uno dei più attivi oppositori del presidente russo
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di Greta Sclaunich
Occhi di ghiaccio, sorriso un po’ timido. Ad Alexei Navalny, il blogger russo leader del movimento di opposizione al premier – e futuro presidente – Vladimir Putin, l’aria da puro e duro calza a pennello. Quello che non teme nessuno, che non si arrende davanti a niente. Nemmeno davanti a Putin, e neanche davanti alla polizia: arrestato per la seconda volta all’indomani delle elezioni presidenziali, ha twittato personalmente i dettagli del fermo. Insieme a lui nelle manifestazioni di protesta per la vittoria di Putin nelle elezioni del 4 marzo (le opposizioni denunciano pesanti brogli) sono state fermate oltre 250 persone tra Mosca e San Pietroburgo. Navalny e tutti gli altri fermati, secondo quanto ha reso noto un portavoce delle forze dell'ordine locali, sono stati poi rilasciati.
Non è la prima volta che Navalny finisce in manette. Era già successo a dicembre quando, leader delle proteste contro i brogli nelle elezioni per il rinnovo della Duma, aveva dichiarato che “i ladri” governano la Russia. Non guida nessun partito, ma ha un blog seguitissimo con cui rivela i legami tra le grandi aziende ed i poteri forti del governo russo. Ai russi piace: dicono che è come leggere un romanzo, ti tiene con il fiato sospeso e non sai mai cosa succederà nel prossimo capitolo. Qualche esempio? Appalti truccati, documenti riservati, accordi sottobanco tra politici e industriali.
Lui – avvocato di 35 anni – non si limita a denunciare la corruzione in Russia tramite blog e Twitter (anche in inglese). In Rete lo fa dal 2009, ma il suo impegno politico era cominciato con la militanza nel partito di opposizione Yabloko dove si è impegnato dal 2000 fino al 2007.
Da dicembre organizza manifestazioni, scende in piazza e arringa la folla. Per le elezioni presidenziali ha organizzato una giornata di incontri, interviste e dibattiti nella sede del suo movimento, il bar Masterskaya accanto a piazza del Maneggio, nel centro di Mosca. Davanti a telecamere e macchine fotografiche è a suo agio, si mette in posa quando glielo chiedono: guarda l’obiettivo con i suoi occhi di ghiaccio, sorride. Poi, viso serio e occhi bassi, si immerge di nuovo nel suo iPhone e nelle conversazioni con gli altri oppositori. Ha l’aria del cospiratore – anche se indossa jeans e maglietta e gira con uno zainetto dove tiene laptot, telefono e altri aggeggi tecnologici. Mentre si muove tra i tavoli sembra una persona semplice e affabile. Ma poi ogni tentativo di parlarci di persona si infrange contro la sua severa assistente, una minuta 30enne pratica e meticolosa. L’unica cosa che si può fare è ascoltarlo: mentre arringa la folla, mentre ripete l’invito a scendere in piazza per protestare contro Putin. In pubblico parla con voce ferma ma mai troppo alta. Tranne quando scandisce chiaramente – e lo fa alla fine di ogni discorso – l’invito a scendere in piazza, ancora e ancora. Finché Putin non capirà con chi ha a che fare.
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Non è la prima volta che Navalny finisce in manette. Era già successo a dicembre quando, leader delle proteste contro i brogli nelle elezioni per il rinnovo della Duma, aveva dichiarato che “i ladri” governano la Russia. Non guida nessun partito, ma ha un blog seguitissimo con cui rivela i legami tra le grandi aziende ed i poteri forti del governo russo. Ai russi piace: dicono che è come leggere un romanzo, ti tiene con il fiato sospeso e non sai mai cosa succederà nel prossimo capitolo. Qualche esempio? Appalti truccati, documenti riservati, accordi sottobanco tra politici e industriali.
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