Ancora sangue in Siria. Turchia: bisogna alzare la voce

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Cresce la pressione dei Paesi stranieri su Bashar al Assad. Dopo l’ultimatum di tre giorni concesso dalla Lega Araba perché si metta fine alla repressione in corso da otto mesi, il regime si starebbe preparando ad accogliere gli osservatori. VIDEO

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(in fondo all'articolo i video sulla situazione in Siria)

Entro sabato 19 novembre il regime siriano potrebbe consentire a una missione di osservatori arabi di visitare il Paese. La notizia arriva dai media ufficiali di Damasco, dopo l’ultimatum di tre giorni concesso al governo siriano dalla Lega Araba perché metta fine alla repressione in corso da otto mesi. I ministri arabi, dopo la riunione di mercoledì scorso in Marocco, hanno comunicato che se le autorità di Damasco non applicheranno entro tre giorni tutti i punti del piano arabo, su cui era stato trovato un accordo formale il 2 novembre scorso, scatteranno non meglio precisate sanzioni economiche. Il piano prevede, tra l'altro, la fine della violenza "quale che sia la sua matrice", il ritiro dai centri abitati di tutte le apparenze armate e la liberazione di tutte le persone fermate dal 15 marzo a oggi. E in vista di una imminente apertura delle proprie frontiere, secondo alcuni testimoni, il regime siriano corre ai ripari facendo indossare divise da poliziotti ai membri delle bande di lealisti armati, sostituendo i loro ingombranti fucili automatici con mitragliette più facili da occultare, camuffando i blindati dell'esercito come mezzi di polizia.

Liberata la psicanalista. Le autorità siriane hanno dichiarato di aver liberato, dal 5 al 15 novembre, come gesto di apertura nei confronti delle pressioni internazionali, oltre 1.700 detenuti. Gli attivisti affermano che in carcere rimangono oltre 13.000 persone. Tra le persone rilasciate c’è anche Rafah Nashed, 66 anni, prima psicanalista donna siriana finita in carcere più di due mesi fa. Lo scorso 10 settembre si era recata in aeroporto a Damasco accompagnata dal marito, professore di storia all'università della capitale, per imbarcarsi su un volo diretto a Parigi, dove avrebbe dovuto assistere al parto della figlia. Membri dei servizi di sicurezza dell'Aeronautica, una delle quattro principali agenzie di controllo, l’avevano però fermata e trasferita nel carcere di Duma. La Nashed, che dopo un mese dall'inizio delle proteste e della repressione aveva avviato a Damasco un laboratorio di terapia di gruppo "per sconfiggere la paura", era stata accusata d’incitamento al sovvertimento del sistema politico e violazione dell'ordine pubblico. Rischiava una pena di circa sette anni di detenzione.

Ancora vittime. Solo nella giornata di giovedì 17 novembre, sono almeno 10 i siriani uccisi da forze fedeli al presidente Bashar al Assad in diverse località del Paese. Lo riferiscono i Comitati di coordinamento locali, sul loro sito Internet. Il Centro di documentazione delle violazioni in Siria pubblica una lista aggiornata delle vittime odierne, nelle regioni di Homs, Dayr az Zor, Idlib, Hama, fornendo le generalità, i luoghi delle uccisioni, foto dei morti e in alcuni casi link a video amatoriali che documentano l'uccisione. Non si hanno invece conferme del presunto assalto di militari anti-regime contro una sede del partito Baath, al potere da mezzo secolo, a Maarrat an Numan, nella regione nord-occidentale di Idlib. La notizia è stata riportata, senza alcun dettaglio, dalla Cnn, dal quotidiano libanese in inglese The Daily Star e dalla tv panaraba al Arabiya.

Attacco alle ambasciate. Non si fermano, intanto, le polemiche dopo gli assalti dei giorni scorsi alle ambasciate di Marocco, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Giordania e Arabia Saudita di Damasco e i consolati turco e francese di Latakia. Secondo testimoni sul posto, le forze dell'ordine avrebbero contrastato con poca convinzione gli assalitori. Il ministro degli esteri siriano, Walid al Muallim, si è scusato pubblicamente assicurando che simili episodi non accadranno più. Le ambasciate sono state assaltate con lanci di sassi e altri oggetti poco dopo l'entrata in vigore della sospensione della Siria dalla Lega Araba.

Reazioni internazionali. La situazione in Siria tiene in apprensione gli altri Paesi. La Cina si è detta "estremamente preoccupata". Il capo della diplomazia Ue, Catherine Ashton, ha chiesto le dimissioni di Assad. La Russia, invece, continua a sostenerlo: il ministro degli Esteri, Serghiei Lavrov, ha detto che i “metodi dell’opposizione possono portare il Paese a una guerra civile”. Alcuni stati arabi hanno fatto un appello al primo ministro britannico, David Cameron, perché si faccia promotore di una nuova iniziativa diplomatica contro la Siria.

Turchia. Il premier turco, Recep Tayyip Erdogan, ha esortato la comunità internazionale ad alzare la voce contro la sanguinosa repressione dei moti di protesta. La Turchia, paese confinante ed ex-alleato della Siria, è diventata uno dei più accesi critici del regime di Damasco e ha già cominciato ad attuare sanzioni, come lo stop di esplorazioni petrolifere congiunte. Ankara, inoltre, è in aperto contatto con gli oppositori del presidente Bashar Al Addas e ospita un colonnello che è considerato il capo dell'Esercito siriano libero. Un giornale turco, inoltre, sostiene che la Turchia è pronta ad appoggiare, a determinate condizioni, l'imposizione di una "no-fly zone" in Siria per proteggere le forze dell'opposizione del regime di Damasco. E il leader in esilio dei Fratelli musulmani di Siria, Mohammad Riad Shakfa, ha affermato che "il popolo siriano accetterà un intervento proveniente dalla Turchia, piuttosto che dall'Occidente, se si tratta di proteggere i civili”.

Attacco al quartier generale di Damasco. Arrivano i particolari sull'attacco compiuto nelle ultime 36 ore dal Free syrian Army (l'Esercito libero siriano, Esl). Il raggruppamento di soldati ribelli, che si sono rifiutati di partecipare alla repressione e si sono uniti ai manifestanti anti-regime, ha diffuso nuovi dettagli sull'operazione condotta alla periferia nord di Damasco contro il quartiere generale di uno dei servizi di controllo del regime. "L'operazione di Harasta (dal nome del sobborgo nord della capitale) è stata compiuta dopo una pianificazione di due settimane", ha detto il maggiore Maher Harmun, portavoce del neonato Consiglio militare provvisorio dell'Esl. "L'attacco è avvenuto su tre lati. I nostri uomini hanno aperto il fuoco posizionati a distanza di 300 metri dall'obiettivo – ha detto il maggiore disertore –. Siamo stati attenti a non colpire il lato della caserma dove sono ospitate le carceri, nelle quali sono rinchiusi numerosi civili. L'operazione è riuscita anche grazie all'aiuto di talpe presenti all'interno della caserma, membri della stessa agenzia di sicurezza". L'Esl ha rivendicato anche altre due azioni contro posti di blocco militari in altrettanti sobborghi nord-orientali di Damasco.

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