I raid aerei realizzati dai singoli alleati, le città più bombardate, l’ondata di immigrati: tutto quello che raccontano le cifre, raccolte da alcune istituzioni giornalistiche e umanitarie, sul conflitto che va avanti da oltre due mesi
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di Raffaele Mastrolonardo
Andiamo? Non andiamo? E se andiamo, spariamo? Le polemiche sul coinvolgimento e il ruolo del nostro paese in Libia sono ormai un ricordo sbiadito. E in parte anche l'allarme sull'ondata di immigrati che l'attacco a Gheddafi avrebbe provocato. Questioni messe in un angolo dalla campagna elettorale per le Amministrative 2011. Eppure il conflitto sull'altra sponda del Mediterraneo va avanti (il 25 maggio Tripoli ha subito i più pesanti bombardamenti Nato fino ad ora) e oggi, a oltre due mesi dall'inizio delle operazioni, è possibile valutare con criteri più oggettivi rispetto alla diatriba politica l'entità della nostra presenza nell'operazione Unified Protector e le conseguenze in termini di immigrazione. Il tutto grazie all'aiuto dei numeri pazientemente raccolti in questi due mesi da alcune istituzioni giornalistiche e umanitarie.
Sul fronte più propriamente militare, un prezioso contributo arriva dalla divisione statistica del quotidiano inglese The Guardian che si è presa la briga di analizzare le comunicazioni ufficiali della Nato e quelle dei siti dei ministeri della difesa dei vari Paesi coinvolti per quantificare il contributo alla missione di ogni singolo stato della coalizione. Per quanto ci riguarda, i risultati, che sono stati sintetizzati in un'infografica, dicono che il ruolo dell'Italia è proprio quello che si aspetterebbe da una missione che ci ha visto protagonisti un po' riluttanti: un passo indietro rispetto ai capofila, ma con un contributo alle operazioni comunque primario tra gli stati coinvolti.
Alla data del 5 maggio scorso – poco più di un mese dopo che il comando era passato ufficialmente alla Nato – gli Stati Uniti guidavano infatti le truppe con 2 mila raid aerei. Dietro la super-potenza americana le due semi-potenze europee, Gran Bretagna e Francia, che avevano totalizzato, rispettivamente, 1.300 e 1.200 raid. Subito dopo, in lista, l’Italia alla quale i giornalisti statistici del Guardian attribuiscono 600 missioni aeree, la metà dei cugini transalpini e degli inglesi ma quasi il doppio rispetto al Canada che, con 358 sortite, si colloca in quinta posizione nell'ideale classifica dei governi più impegnati in Unified Protector. Complessivamente, lo Stivale avrebbe condotto circa l'11 per cento delle operazioni totali dal cielo.
La distribuzione degli sforzi – raccontano inoltre le statistiche del Guardian - è proporzionale alla quantità di mezzi che ciascun governo ha messo a disposizione. Per le operazioni Nato in Libia l'Italia ha offerto 12 aerei e 4 navi, contro i 28 aerei e le 3 navi (più un personale di 1.300 uomini) della Gran Bretagna e i 29 velivoli e le 6 imbarcazioni (più 800 uomini) della Francia. Davanti a tutti, ovviamente, gli Stati Uniti: 8 mila uomini, 153 aerei e una flotta di 12 navi. Per capire dove sono stati indirizzati gli sforzi e su quali obiettivi si può consultare la mappa interattiva realizzata sempre dal Guardian che mostra, per esempio, come Tripoli (201 attacchi) e Misurata (178) siano le città che hanno subito la maggior parte dei bombardamenti.
Ma le azioni militari non sono l'unico aspetto della crisi libica su cui i numeri possono contribuire a fare chiarezza. Anche l'analisi delle migrazioni innescate dalla rivolta contro Gheddafi e dai successivi bombardamenti può trarre beneficio da un po' di statistiche. In questo caso i dati che si possono utilizzare sono quelli dell'International Organization for Migration (IOM), organizzazione inter-governativa che monitora il fenomeno degli sfollati e realizza un bollettino giornaliero sulla crisi migratoria connessa alle vicende libiche. L'ultimo rapporto disponibile (qui il file PDF), per esempio, stima in 856 mila le persone che hanno lasciato la Libia per altri paesi. Tunisia ed Egitto hanno accolto la maggior parte dei migranti, rispettivamente 429 mila 940 e 297 mila 613. Seguono gli altri stati confinanti: Niger (68.614), Ciad (25.020), Algeria (19.632). Quanto all'Italia – che, secondo lo IOM, è stata la destinazione dell'88 per cento di coloro che hanno lasciato la Libia via mare – è stata raggiunta da 10.946 migranti provenienti dalle coste del Paese nordafricano. Si tratta di un numero ingente ma lontano dalle cifre a cinque zeri ipotizzate qualche mese addietro.
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Sul fronte più propriamente militare, un prezioso contributo arriva dalla divisione statistica del quotidiano inglese The Guardian che si è presa la briga di analizzare le comunicazioni ufficiali della Nato e quelle dei siti dei ministeri della difesa dei vari Paesi coinvolti per quantificare il contributo alla missione di ogni singolo stato della coalizione. Per quanto ci riguarda, i risultati, che sono stati sintetizzati in un'infografica, dicono che il ruolo dell'Italia è proprio quello che si aspetterebbe da una missione che ci ha visto protagonisti un po' riluttanti: un passo indietro rispetto ai capofila, ma con un contributo alle operazioni comunque primario tra gli stati coinvolti.
Alla data del 5 maggio scorso – poco più di un mese dopo che il comando era passato ufficialmente alla Nato – gli Stati Uniti guidavano infatti le truppe con 2 mila raid aerei. Dietro la super-potenza americana le due semi-potenze europee, Gran Bretagna e Francia, che avevano totalizzato, rispettivamente, 1.300 e 1.200 raid. Subito dopo, in lista, l’Italia alla quale i giornalisti statistici del Guardian attribuiscono 600 missioni aeree, la metà dei cugini transalpini e degli inglesi ma quasi il doppio rispetto al Canada che, con 358 sortite, si colloca in quinta posizione nell'ideale classifica dei governi più impegnati in Unified Protector. Complessivamente, lo Stivale avrebbe condotto circa l'11 per cento delle operazioni totali dal cielo.
La distribuzione degli sforzi – raccontano inoltre le statistiche del Guardian - è proporzionale alla quantità di mezzi che ciascun governo ha messo a disposizione. Per le operazioni Nato in Libia l'Italia ha offerto 12 aerei e 4 navi, contro i 28 aerei e le 3 navi (più un personale di 1.300 uomini) della Gran Bretagna e i 29 velivoli e le 6 imbarcazioni (più 800 uomini) della Francia. Davanti a tutti, ovviamente, gli Stati Uniti: 8 mila uomini, 153 aerei e una flotta di 12 navi. Per capire dove sono stati indirizzati gli sforzi e su quali obiettivi si può consultare la mappa interattiva realizzata sempre dal Guardian che mostra, per esempio, come Tripoli (201 attacchi) e Misurata (178) siano le città che hanno subito la maggior parte dei bombardamenti.
Ma le azioni militari non sono l'unico aspetto della crisi libica su cui i numeri possono contribuire a fare chiarezza. Anche l'analisi delle migrazioni innescate dalla rivolta contro Gheddafi e dai successivi bombardamenti può trarre beneficio da un po' di statistiche. In questo caso i dati che si possono utilizzare sono quelli dell'International Organization for Migration (IOM), organizzazione inter-governativa che monitora il fenomeno degli sfollati e realizza un bollettino giornaliero sulla crisi migratoria connessa alle vicende libiche. L'ultimo rapporto disponibile (qui il file PDF), per esempio, stima in 856 mila le persone che hanno lasciato la Libia per altri paesi. Tunisia ed Egitto hanno accolto la maggior parte dei migranti, rispettivamente 429 mila 940 e 297 mila 613. Seguono gli altri stati confinanti: Niger (68.614), Ciad (25.020), Algeria (19.632). Quanto all'Italia – che, secondo lo IOM, è stata la destinazione dell'88 per cento di coloro che hanno lasciato la Libia via mare – è stata raggiunta da 10.946 migranti provenienti dalle coste del Paese nordafricano. Si tratta di un numero ingente ma lontano dalle cifre a cinque zeri ipotizzate qualche mese addietro.