Siria, le forze del regime agiscono anche su Twitter

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Egitto. Anche lì Twitter ha avuto un ruolo importante nei giorni delle rivolte
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Agenti segreti che insultano gli utenti favorevoli alle proteste e account automatici che inondano il sito di informazioni inutili per distogliere l'attenzione dalle rivolte. Dopo Egitto e Marocco, anche a Damasco la contro-rivoluzione corre sul web

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di Raffaele Mastrolonardo


Carri armati nelle strade, propaganda in televisione e spam su Twitter. Le rivolte ai tempi dei social network si contrastano anche così, con un misto di mezzi vecchi e nuovi. Lo dimostra in questi giorni il regime siriano che, oltre all'esercito già responsabile di centinaia di morti, ha deciso di schierare in campo anche forze decisamente più virtuali. Obiettivo: contrastare le voci che su Twitter appoggiano le proteste e che tanta eco hanno avuto in altre sollevazioni in Nord Africa e Medio Oriente.

Secondo quanto riportato da alcuni blogger siriani e dal quotidiano inglese The Guardian, il sito di microblogging americano negli ultimi giorni ha subito una serie di interferenze  riconducibili al regime di Bashar al-Assad. Dapprima, hanno fatto la loro comparsa sul social network schiere di utenti – per lo più senza immagini identificative - il cui unico scopo era quello di minacciare verbalmente chiunque esprimesse critiche nei confronti del regime. Secondo il blogger locale Anas Qtiesh si tratterebbe di “agenti del Mokhabarat siriano con poca dimestichezza di arabo e inglese scritti ma con un arsenale infinito di bile e insulti”.

Accanto agli improperi di questo manipolo di cinguettatori prezzolati il governo siriano è ricorso inoltre a strategie di disturbo più sofisticate ed efficaci. Appoggiandosi ai servizi di EGHNA, una società del Bahrein, una serie di account automatici hanno infatti cominciato a inondare la twittersfera di messaggi contrassegnati dall'hashtag #Syria (una delle etichette utilizzate su Twitter per identificare i messaggi relativi alle rivolte siriane). Non si tratta sempre di cinguettii dal contenuto politico (nel caso di @TheLovelySyria, per esempio, si esalta il patrimonio naturale e culturale della Siria) ma l'obiettivo è lo stesso: confondere le acque, distogliere l'attenzione dalla proteste e rendere più difficile l'accesso alle informazioni riguardanti le sollevazioni.

Simili azioni non sono vietate dal regolamento di Twitter anche se la tecnologia di ricerca del servizio premia gli account dotati di profilo completo, con tanto di fotografia, rispetto a quelli automatici. In certi casi questi utenti non umani possono essere esclusi dalle funzionalità di ricerca in modo da minimizzare l'inquinamento informativo. E questo è proprio quello che – dopo la denuncia di alcun utenti - è infine successo ad cinguettatori-robot come @SyriaBeauty, @DNNUpdates e @SyLeague che sono infine stati resi irrintracciabili (anche se sono ancora visibili da chi li “segue” e da chi digita l'indirizzo esatto).

Da quando sono iniziate le sollevazioni della “primavera araba” non è la prima volta che i social network diventano campo di battaglia tra forze che spingono per la rivoluzione e i regimi che cercano di sopravvivere. Sia in Marocco che in Bahrein i due campi si sono scontrati a colpi di “hashtag” alla ricerca dell'egemonia virtuale mentre in Egitto Mubarak ha cercato di organizzare una contro-propaganda a suon di cinguettii. In Sudan, invece, il regime di Hassan Al-Bashi avrebbe addirittura realizzato una pagina-esca su Facebook per fare uscire allo scoperto i manifestanti e poi arrestarli. Sulla sempre maggiore attenzione per il mondo virtuale da parte di despoti e autocrati mette da tempo in guardia lo studioso Egveny Morozov nel suo ultimo saggio The Net Delusion. The Dark Side of Internet Freedom.

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