Nel Paese, che per primo è stato teatro di una rivolta, è tornata la libertà di parola. Ma “la rivoluzione del Gelsomino è ancora in atto. E chi ha paura fugge in mare verso l’Europa”. La testimonianza di un ricercatore di Djerba a Sky.it
CAOS IN NORDAFRICA: LO SPECIALE
di Chiara Ribichini
“In città girano tanti soldati, sui muri sono comparsi graffiti colorati. Ai bordi delle strade, sui marciapiedi, fuori dai negozi è pieno di persone in cerchio. Discutono di politica. Non li avevo mai visti”. Tunisi è cambiata. Gli effetti della rivoluzione del Gelsomino, che in meno di un mese ha messo fine al regime di Ben Ali, si respirano in ogni angolo della capitale della Tunisia, come racconta a Sky.it Kassem (il nome è di fantasia, ndr), un ricercatore tunisino. Trentacinque anni, una moglie e una bimba di tre anni e mezzo, Kassem vive sull’isola di Djerba, ma è spesso a Tunisi per lavoro. “Il caos, i disordini, gli scontri sono ormai alle nostre spalle. Ma la situazione in città ancora non è completamente tranquilla, nonostante ci sia una forte presenza dell’esercito. Ci sono molti ladri in giro, soprattutto di notte”.
Il clima post rivoluzione è incerto. Il cammino verso le elezioni libere e democratiche, annunciate e promesse entro sei mesi dal primo ministro Mohamed Ghannouchi, che guida il governo di transizione, probabilmente è ancora lungo. Ma c'è un'aria ottimista. “Negli occhi del tunisino oggi leggi la voglia di vivere questo momento storico, di scoprire giorno per giorno una normalità che non abbiamo mai avuto. Siamo fieri di aver vinto e superato la parte più dura della nostra battaglia. Di aver messo fine a una dittatura che abbiamo subito per 23 anni”. Resta però la preoccupazione per il lavoro. Preoccupazione che spinge migliaia di tunisini a tentare la via del mare. Da qui l'ondata di sbarchi che in Italia sta facendo registrare un'emergenza senza precedenti. “A partire sono soprattutto uomini e ragazzi che non hanno avuto la possibilità di studiare e ai quali questo Paese offre davvero poche opportunità. Ma dietro la decisione di salire su un barcone c’è anche la difficoltà di leggere e comprendere la rivoluzione. Sono persone spaventate dal cambiamento” spiega Kassem.
Dei giorni della rivoluzione Kassem ricorda la paura di non farcela. “Se non fossimo riusciti a vincere e a far cadere Ben Ali il Paese sarebbe finito nel caos più totale”. E racconta: “Tutto è iniziato il 17 dicembre a Sidi Bouzid quando un giovane venditore ambulante di frutta e verdura si è dato fuoco per protestare contro la confisca della sua merce. Un gesto al quale sono seguite manifestazioni contro la disoccupazione e il carovita. All'inizio la rivolta aveva un motivo sociale, che è diventato politico nel momento in cui la polizia ha iniziato ad attaccare con lacrimogeni e colpi di arma da fuoco il popolo in piazza. E' lì che è iniziata la rivolta tunisina. Ed è lì che abbiamo capito che il cambiamento era già in atto”.
Sulla scia della Tunisia sono esplose altre rivolte. L'Egitto, l'Algeria, la Libia, il Bahrein. “Siamo stati i primi per diversi motivi: abbiamo un livello di istruzione più alto, siamo i più vicini all’Europa, e non solo fisicamente. Sono anni che cerchiamo di avvicinarci al vostro senso civico e alla democrazia”. Ma la rivoluzione non è finita. Tutt’altro. “Sono stati sostituiti i vertici del potere ma la struttura è rimasta la stessa. Il cambiamento deve ancora penetrare in profondità. Per ora le amministrazioni continuano ad essere gestite dagli stessi direttori scelti da Ben Ali. Ci vorrà del tempo, forse anni. Ma io sono ottimista”.
di Chiara Ribichini
“In città girano tanti soldati, sui muri sono comparsi graffiti colorati. Ai bordi delle strade, sui marciapiedi, fuori dai negozi è pieno di persone in cerchio. Discutono di politica. Non li avevo mai visti”. Tunisi è cambiata. Gli effetti della rivoluzione del Gelsomino, che in meno di un mese ha messo fine al regime di Ben Ali, si respirano in ogni angolo della capitale della Tunisia, come racconta a Sky.it Kassem (il nome è di fantasia, ndr), un ricercatore tunisino. Trentacinque anni, una moglie e una bimba di tre anni e mezzo, Kassem vive sull’isola di Djerba, ma è spesso a Tunisi per lavoro. “Il caos, i disordini, gli scontri sono ormai alle nostre spalle. Ma la situazione in città ancora non è completamente tranquilla, nonostante ci sia una forte presenza dell’esercito. Ci sono molti ladri in giro, soprattutto di notte”.
Il clima post rivoluzione è incerto. Il cammino verso le elezioni libere e democratiche, annunciate e promesse entro sei mesi dal primo ministro Mohamed Ghannouchi, che guida il governo di transizione, probabilmente è ancora lungo. Ma c'è un'aria ottimista. “Negli occhi del tunisino oggi leggi la voglia di vivere questo momento storico, di scoprire giorno per giorno una normalità che non abbiamo mai avuto. Siamo fieri di aver vinto e superato la parte più dura della nostra battaglia. Di aver messo fine a una dittatura che abbiamo subito per 23 anni”. Resta però la preoccupazione per il lavoro. Preoccupazione che spinge migliaia di tunisini a tentare la via del mare. Da qui l'ondata di sbarchi che in Italia sta facendo registrare un'emergenza senza precedenti. “A partire sono soprattutto uomini e ragazzi che non hanno avuto la possibilità di studiare e ai quali questo Paese offre davvero poche opportunità. Ma dietro la decisione di salire su un barcone c’è anche la difficoltà di leggere e comprendere la rivoluzione. Sono persone spaventate dal cambiamento” spiega Kassem.
Dei giorni della rivoluzione Kassem ricorda la paura di non farcela. “Se non fossimo riusciti a vincere e a far cadere Ben Ali il Paese sarebbe finito nel caos più totale”. E racconta: “Tutto è iniziato il 17 dicembre a Sidi Bouzid quando un giovane venditore ambulante di frutta e verdura si è dato fuoco per protestare contro la confisca della sua merce. Un gesto al quale sono seguite manifestazioni contro la disoccupazione e il carovita. All'inizio la rivolta aveva un motivo sociale, che è diventato politico nel momento in cui la polizia ha iniziato ad attaccare con lacrimogeni e colpi di arma da fuoco il popolo in piazza. E' lì che è iniziata la rivolta tunisina. Ed è lì che abbiamo capito che il cambiamento era già in atto”.
Sulla scia della Tunisia sono esplose altre rivolte. L'Egitto, l'Algeria, la Libia, il Bahrein. “Siamo stati i primi per diversi motivi: abbiamo un livello di istruzione più alto, siamo i più vicini all’Europa, e non solo fisicamente. Sono anni che cerchiamo di avvicinarci al vostro senso civico e alla democrazia”. Ma la rivoluzione non è finita. Tutt’altro. “Sono stati sostituiti i vertici del potere ma la struttura è rimasta la stessa. Il cambiamento deve ancora penetrare in profondità. Per ora le amministrazioni continuano ad essere gestite dagli stessi direttori scelti da Ben Ali. Ci vorrà del tempo, forse anni. Ma io sono ottimista”.