Casa Bianca: psicologi contro WikiLeaks

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Un memorandum invita le agenzie governative a prendere precauzioni per evitare fughe di notizie. Tra queste il ricorso a sociologi per individuare dipendenti insoddisfatti. Intanto anche Bank of America cerca di correre ai ripari

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di Raffaele Mastrolonardo


Valutare il livello di soddisfazione dei dipendenti, veri e propri piani contro le “minacce che vengono dall’interno” e monitoraggio dei viaggi all’estero dei lavoratori. Sono queste alcune delle precauzioni che la Casa Bianca suggerisce alle agenzie federali per cercare di evitare che siti come Wikileaks espongano in pubblico nuovi segreti governativi. A rivelarlo è un documento interno di 11 pagine reso noto dalla testata americana Nbc News.

Il memorandum, datato 3 gennaio, è stato inviato questa settimana agli alti dirigenti di tutte le agenzie e di tutti i dipartimenti federali del governo che hanno a che fare con materiale classificato. Il mittente è nientemeno che Jacob J. Lew, direttore dell’Office of managment and budget della Casa Bianca, e il contenuto è frutto dell’esperienza in materia di protezione delle informazioni dell’intelligence americana. L’obiettivo dichiarato è diffondere negli uffici pubblici una serie di procedure che minimizzino il rischio di ulteriori mega-rivelazioni come quella di oltre 250 mila cablogrammi diplomatici che sta mettendo in serio imbarazzo l’amministrazione Usa.

Il documento, sotto forma di questionario, intende aiutare le agenzie a valutare il proprio livello di sicurezza e suggerisce alcune azioni da intraprendere. Tra queste spiccano quelle relative alla valutazioni dei funzionari che possono trasformarsi in potenziali informatori. Il memorandum menziona infatti il ricorso a “sociologi e psichiatri” per valutare “la felicità relativa come mezzo per determinare l’affidabilità” dei lavoratori o “lo sconforto e l’irritabilità come metro per individuare un’affidabilità declinante”. Più in generale, domanda il documento, quali soluzioni “avete implementato per scoprire cambiamenti di comportamento dei dipendenti?”

Ma non sono solo l’umore e l’atteggiamento, secondo gli esperti dell’intelligence a stelle e strisce, la chiave per individuare potenziali minacce alla segretezza delle informazioni. Anche una predilezione per i viaggi oltre confine può essere spia della volontà di divulgare all’esterno dati riservati. Il questionario chiede così ai vari uffici di instaurare procedure in base alle quali i funzionari siano obbligati a “documentare viaggi e contatti” in modo che si possano identificare “occorrenze insolitamente alte di viaggi all’estero, contatti o preferenze estere”.

Ma non è finita qui. Le agenzie federali sono anche richieste di instaurare specifici programmi sulla “minaccia proveniente dagli insider” e di dare vita a corsi di formazione  e sensibilizzazione sull’argomento. Non guasta infine che ai dipendenti sia chiesto di comunicare ai superiori ogni contatto avuto con i media.

Queste e altre indicazioni contenute nel memorandum dovrebbero, secondo la Casa Bianca, contribuire a “rafforzare la nostra salvaguardia e le nostre attività di contro-spionaggio in modo da aumentare la protezione di informazioni riservate sulla sicurezza nazionale”. Se ci riusciranno è ancora presto per dirlo. Di certo testimoniano del clima di diffidenza e paura che si è creato all’interno del governo americano dopo le rivelazioni in serie sulla guerra in Afghanistan, sull’Iraq e sulla diplomazia americana messe a segno da WikiLeaks.

Ma il terrore di fughe di documenti segreti non riguarda solo i governi, anche il mondo delle aziende cerca di correre ai ripari per difendersi da possibili scoop. Tra i più preoccupati e solerti c’è Bank of America, indicata come una delle prossime vittime del sito degli informatori. Alla fine di novembre Julian Assange, fondatore di WikiLeaks, ha affermato in un’intervista di essere in possesso di una serie di documenti segreti provenienti dal disco fisso di un alto dirigente di una grande banca americana. Poche ore dopo la notizia il titolo di Bank of America è calato in borsa alimentando così i sospetti che si trattasse proprio dell’istituto a cui si riferiva Assange.
Da quel momento, secondo quanto riporta il New York Times, la banca ha messo in piedi una squadra di almeno 15 dipendenti incaricati di svolgere un’indagine interna alla ricerca di tutti i casi di computer mancanti o di sistemi informatici violati. La squadra, aiutata dalla società di consulenza Booz Allen Hamilton, ha inoltre cominciato l’analisi di migliaia di materiali per prepararsi, dal punto di vista legale e mediatico, ad un’eventuale rivelazione. Secondo il quotidiano americano, inoltre, Bank of America avrebbe chiesto il parere di vari studi legali sulle conseguenze che la divulgazione dei segreti dei clienti potrebbe comportare per l’istituto.
Ad alimentare le paure della banca il fatto che nel dicembre del 2009, in un’altra intervista, Assange aveva dichiarato di avere in mano “5 gigabyte di dati di Bank of America, uno dei dischi fissi di un alto dirigente”. Fino ad ora, secondo il New York Times, le indagini interne non anno trovato alcun elemento che corrobori le affermazioni dell’australiano.

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