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Uccise la moglie, assolto a Brescia per "delirio di gelosia"

Lombardia

La difesa dell'uomo aveva chiesto l'assoluzione ritenendolo incapace di intendere e volere, come riconosciuto dalla Corte, mentre il pm Claudia Passalacqua aveva chiesto l'ergastolo

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Si è chiuso con un'assoluzione il processo davanti alla Corte d'Assise di Brescia per l'omicidio di Cristina Maioli, insegnante di scuola superiore uccisa dal marito Antonio Gozzini nell'ottobre 2019 a Brescia. L'uomo, 80 anni, è stato ritenuto incapace di intendere e volere a causa di un totale vizio di mente per "un delirio di gelosia".

La difesa dell'uomo, che non era presente in aula, aveva chiesto l'assoluzione ritenendo incapace di intendere e volere Gozzini al momento dell'omicidio, come riconosciuto dalla Corte, mentre il pm Claudia Passalacqua aveva chiesto l'ergastolo. 

L’omicidio

L'omicidio è avvenuto nella notte tra il 3 e il 4 ottobre nell’abitazione della coppia, in via Lombroso. Il 79enne ha ucciso la moglie nel sonno, prima facendole perdere i sensi con un colpo alla testa e poi accoltellandola alla gola. È stato lui stesso, dopo molte ore, a chiamare la polizia in un momento di lucidità, come ha riferito al pm Claudia Passalacqua. L'uomo avrebbe poi tentato di togliersi la vita tagliandosi le vene e ingerendo antidepressivi.

Il pm annuncia il ricorso

"Non c'era un motivo particolare per cui ho deciso di uccidere mia moglie. So solo che stavo malissimo: in depressione possono succedere queste cose", aveva detto l'uomo nel corso dell'interrogatorio in cui confessò l'omicidio. La depressione aveva accompagnato per anni la vita di Gozzini che, stando alle indagini psichiatriche effettuate durante la detenzione in carcere, negli ultimi tempi aveva manifestato forte gelosia nei confronti della moglie. L'anziano era convinto di essere stato tradito, cosa mai verificata; una "vero e proprio delirio di gelosia", scrive il consulente della Procura nella relazione in cui sosteneva che Gozzini sarebbe stato in grado di partecipare al processo, ma che al momento dell'omicidio era affetto da un disturbo delirante "tale da escludere totalmente la capacità di intendere e volere". Per il pm Claudia Passalacqua che ha già annunciato ricorso in appello, l'80enne ha compiuto l'omicidio "per vendetta perché la moglie voleva farlo ricoverare in ospedale per la sua depressione. E' pericoloso far passare il messaggio che in quel momento non era capace di intendere e volere perché geloso", ha detto in aula il magistrato. Con la sentenza di assoluzione la Corte d'Assise ha disposto il trasferimento dell'uomo, attualmente in carcere, in una Rems, la residenza per l'esecuzione delle misure di sicurezza.

Le parole del legale

"Siamo soddisfatti perché la sentenza rispecchia quanto emerso nel dibattimento e cioè che il mio assistito non era capace di intendere e volere", ha commentato l'avvocato Jacopo Barzellotti, legale dell'80enne. In fase processuale il consulente dell' accusa e quello della difesa sono stati d'accordo nel dire che l'uomo "era in preda ad un evidente delirio da gelosia che ha stroncato il suo rapporto con la realtà e ha determinato un irrefrenabile impulso omicida".

Monica Cirinnà: "Ritorno al passato"

"Non sono solita commentare le sentenze, ma di fronte a un'assoluzione di un femminicidio per 'delirio di gelosia' credo non si possa tacere. Sembra purtroppo un déjà-vu, un terribile ritorno al passato, invece è la triste realtà. Aspetteremo ovviamente di leggere le motivazioni di questa sentenza, ma il senso sembra purtroppo chiaro e terribile: questo femminicidio non è stato riconosciuto come tale e un marito in preda alla gelosia può uccidere la moglie senza essere condannato all'ergastolo". Lo dice la senatrice Monica Cirinnà, responsabile diritti per il Pd.

"Questa sentenza conferma, se ancora ce ne fosse bisogno, i rilievi fatti all'Italia dal Gr.E.Vio, che notava la grave persistenza, nel sistema giudiziario italiano, di pregiudizi sessisti e di una visione patriarcale dei ruoli di genere, per cui il marito-padrone può 'punire' la moglie che, a suo modo di vedere, contravviene a quanto da lui disposto", commenta la presidente della Rete D.i.Re Antonella Veltri. "La Convenzione di Istanbul definisce chiaramente cosa si intende per violenza di genere, ma evidentemente non è conosciuta né tenuta in considerazione. Per questo, ora più che mai, chiediamo al Governo - conclude Veltri - un impegno urgente per la formazione di chi opera nella giustizia, che il Codice Rosso ha previsto ma senza risorse, dunque non attuata". 

Il precedente

Nel 2019 la Corte di assise di appello di Bologna ridusse da 30 a 16 anni la pena per Michele Castaldo, operaio che il 5 ottobre 2016 uccise a Riccione (Rimini) Olga Matei, legata a lui da una relazione di poche settimane. Leggendo la motivazione emergeva che una "soverchiante tempesta emotiva e passionale" determinata dalla gelosia, un'espressione citata testualmente da una perizia psichiatrica sull'imputato, aveva concorso alla decisione di concedere la attenuanti generiche. Il provvedimento, di cui si venne a conoscenza a ridosso dell'8 marzo, creò accese polemiche politiche, con presidi sotto il palazzo di giustizia da parte di associazioni in difesa delle donne e fiaccolate organizzate da amici della vittima. Tra i più critici, non mancò chi vide in questa impostazione una sorta di riesumazione del delitto d'onore. La Procura generale di Bologna fece ricorso in Cassazione sostenendo che Castaldo uccise la donna perché perse il controllo, in preda all'alcol e la Suprema Corte lo accolse, specificando che era necessario un nuovo processo di secondo grado sulla concessione delle attenuanti. L'appello bis si è recentemente concluso con la conferma della sentenza di primo grado, cioè 30 anni per Castaldo. Nella motivazione la Corte bolognese, in diversa composizione, ha messo in chiaro: si deve escludere che "il moto passionale che ha pervaso l'imputato al momento del fatto" possa aver inciso in modo "necessariamente significativo" nella consumazione del delitto.